sabato 30 dicembre 2017

Necrologio 2017

Il 2017 volge al termine ed è giunta l'ora di fare la conta dei ritirati. Di chi avremo nostalgia? A leggere i nomi viene da chiedersi se nel 2017 non sia finito il calcio.


Ancor più che nell'anno passato, sono tanti ed eccellenti i nomi dei giocatori che in questo 2017 hanno deciso di abbandonare la loro dimora terrestre per trasfigurarsi nell'imperituro regno della nostalgia. Un necrologio particolarmente doloroso che promette di essere uno degli ultimi. Il fresco ritiro di Kakà infatti ci ricorda una volta di più come la finestra temporale concessaci per continuare ad ammirare i campioni della nostra giovinezza (almeno della mia) stia per chiudersi. Come i partigiani ad ogni 25 aprile, sono sempre meno i volti che riconosco ad ogni prima giornata di campionato. A lasciarci ormai non sono più quelli del "campionato più bello del mondo", giocatori che abbiamo imparato a conoscere nella loro maturità, ma ragazzi dei quali abbiamo potuto seguire tutta la traiettoria: da giovane promessa, a campione affermato, fino all'esilio dorato in MLS o in qualche altra meta esotica. Ragazzi nati negli anni Ottanta, poco più che nostri coetanei, gli ultimi di cui abbiamo collezionato la figurina.

Francesco Totti
40 anni
Una figura generazionale, l'ultimo superstite tra i campioni che trovai già al loro posto più di vent'anni fa, quando con mio nonno mi avviai per la prima volta a giocare la schedina del Totocalcio. Come scritto qui: l'ultimo giocatore rimasto a precedere la mia coscienza e, aggiungo ora, il secondo del quale possa dire di avere seguito completamente la parabola. Prima di lui solo Del Piero, del quale Totti avrebbe forse meritato il medesimo commiato.


Kakà
35 anni
Il suo arrivo in MLS un paio d'anni fa non si può dire lasciasse spazio ad epiloghi molto differenti. A dispetto dei suoi 35 anni, riguardando la carriera di Kakà, essa ci appare molto più breve. A 27 anni il momento della svolta, quando il passaggio dal Milan al Real Madrid invece di proiettarlo nella storia del calcio ne decreta la discesa dall'Olimpo. Al Bernabeu Kakà inizia un lento e per certi versi incomprensibile declino che ne annulla i superpoteri. La tua fiamma è durata poco ma quella sera a Manchester accecò tutti.


Ronaldinho
37 anni
Il 2 febbraio Twitter è scosso per qualche istante da un hashtag. Sull'account del Barcellona si legge "#RonaldinhoIsBack". Poco dopo sarà svelato il mistero attorno al brasiliano che già da un paio d'anni non giocava incontri ufficiali e che annuncia così l'inizio del suo nuovo incarico da ambasciatore del club blaugrana (il ritiro ufficiale avverrà il 16 gennaio 2018). Una bella finta come quelle che faceva ai bei tempi, come il shake-a-leg contro il Chelsea. Fa strano pensare che Ronaldinho oggi abbia 37 anni per chi sotto quei ricci grigi non smette di vedere il ragazzino autore del sombrero in questa vecchissima partita di Coppa America.


Andrea Pirlo
38 anni
Come Totti un simbolo del calcio italiano e, più di Totti, del calcio mondiale. Una carriera più che ventennale all'interno della quale sembrano essercene state almeno tre o quattro. La prima ebbe inizio nell'estate 1994 in Val Camonica, quando l'allenatore del Brescia Mircea Lucescu  decise di aggregare il quindicenne Pirlo alla prima squadra in occasione del ritiro che fece da preludio a una delle più sciagurate stagioni vissute finora da una squadra in Serie A. Meno di un anno dopo, in un anonimo Reggiana-Brescia tra retrocesse Andrea fece il suo esordio. Una falsa partenza. Quattro anni dopo, ormai maggiorenne, Pirlo si ripresenta in Serie A dove attira le attenzioni dell'Inter. A San Siro inizia la sua seconda carriera, quella che avrebbe visto compiersi il destino da campione prospettatogli già in tenera età. Come nella prima stagione a Brescia, Andrea si trova invischiato in uno dei periodi peggiori della squadra nerazzurra. Un'altra falsa partenza. In questa prima, altalenante fase della sua carriera la sua vera casa sembra essere l'Under 21 di cui diventa elemento imprescindibile per un quadriennio buono. In prestito alla Reggina vive quella che anche a lui dovrà essere parsa la stagione del rilancio definitivo mentre all'Inter gli preparano il benservito con un nuovo prestito. Tornato a Brescia Mazzone ha l'intuizione che imprime l'accelerazione di cui la carriera di Pirlo aveva bisogno. La decisione di arretrarne il campo di azione davanti alla difesa per permetterne la coesistenza con Baggio rappresenta infatti l'inizio di una terza carriera per Pirlo, quella buona. Nell'estate del 2001 in una leggendaria plusvalenza tra cugini, l'Inter se ne serve come pedina di scambio per acquistare Drazen Brncic (!). Ancelotti segue il solco di Mazzone e attorno a Pirlo costruisce l'ultimo ciclo vincente della storia rossonera. Nel 2011, dopo dieci anni di successi, alcuni infortuni sembrano averne minato il fisico mentre la dirigenza del Milan considera un po' troppi i suoi 31 anni per un rinnovo. La Juve lo acquista a parametro zero e lascia che la storia si ripeta, manovrata dal talento sconfinato del suo nuovo regista. Lo scorso 5 novembre, è finita la carriera di uno dei più grandi giocatori della storia, forse il migliore nel suo ruolo, che per un certo periodo di tempo è sembrato godere di maggiore considerazione all'estero che in Italia. Nel corso delle sue innumerevoli vite calcistiche ha vinto tutto meno che il Pallone d'Oro, altro elemento in comune con Pelé e Maradona.

Philipp Lahm
34 anni
Philipp Lahm aveva sedici anni la sera del 20 giugno 2000, quando il Portogallo inflisse alla Nazionale tedesca una delle sconfitte più umilianti della sua storia. Da quello 0-3 che buttò fuori la Germania dagli Europei prese idealmente il via il progetto di riforma che oggi viene spacciato come rimedio miracoloso per i mali del calcio italiano. Lahm è il portabandiera della prima generazione di calciatori figli di quella sconfitta di quasi vent'anni fa e della lezione che la Federazione tedesca seppe trarne. Dotato di classe innata, il talento di Lahm beneficia del nuovo corso fatto di investimenti, palleggio, applicazione di uguali sistemi di gioco ai diversi livelli delle Nazionali giovanili e ancora investimenti. Quattro anni dopo la disfatta di Rotterdam Lahm è in campo per il suo primo Europeo, ha poco più di vent'anni, una quarantina di presenze tra i professionisti ma infinite ore di allenamento e centinaia di partite giocate al fianco di Schweinsteiger, suo compagno nella seconda squadra del Bayern e in tutte le selezioni giovanili. Uscirà anche qui al primo turno ma poco importa, nel 2006 sarà titolare nella Germania semifinalista mondiale e nel 2014 sarà il capitano che alzerà la Coppa del Mondo a Rio, fine ultimo di quel progetto di rinasciata del calcio tedesco nato dalla più tremenda delle sconfitte. 

Frank Lampard
38 anni
Dotato di un QI sopra la media secondo lo staff medico del Chelsea, autore di racconti per bambini, convinto elettore tory, compagno di squadra di Andrea Pirlo nell'ultimo scorcio di carriera a New York, Frank Lampard è stato anche un ottimo giocatore. Ha annunciato il suo ritiro lo stesso giorno di Ronaldinho, un anno dopo Steven Gerrard, il suo amico-rivale. Un centrocampista versatile che Ranieri iniziò a plasmare ancora in giovane età, gettando inconsapevolmente le fondamenta della storia recente del Chelsea. Insieme a Terry, Lampard è stato la bandiera del Chelsea nel momento più vincente della sua storia, una storia d'amore sporcata solo alla fine da un passaggio al City di cui presto ci si scorderà.

Tomas Rosicky
37 anni
Un artista del pallone: classico nella figura, troppo esile per il calcio muscolare di oggi; postmoderno nell'esecuzione, tanto verticale da porlo qualche anno in avanti rispetto ai suoi coetanei. Più di tutto però Rosicky è stato l'ultimo eroe della "gabbia" ad annunciare il ritiro. Stupefacente come Rosicky sia riuscito a trascinarsi fino ai 37 anni di età prima di farlo. Un calciatore di grandissimo talento a cui i ripetuti infortuni da una parte hanno levato qualche trofeo ma dall'altra hanno contribuito a costruirne una mitologia cult. Il ritiro, come spesso accade a questi giocatori, non potrà che giovare. Per il resto c'è scritto tutto qua.

Xabi Alonso
36 anni
A dare il suo contributo alla moria di centrocampisti di quest'anno c'è anche Xabi Alonso. Centrocampista completo al pari di Lampard, rispetto all'inglese possedeva una minore propensione offensiva compensata però da un buon colpo di testa e da spiccate doti da play. Idolo di casa ai tempi della Real Sociedad, insieme a Luis Garcia fu tra i primi spagnoli a compiere la traversata della Manica a metà anni Duemila. Agli ordini di Benitez vince la sua prima Champions con il Liverpool, successo bissato quasi dieci anni dopo con il Real Madrid. Non è un caso se Guardiola lo abbia voluto anche a trent'anni suonati per la sua avventura al Bayern.

Zé Roberto
43 anni
«Viviamo intensamente questo momento perché passerà velocemente.»  È un frammento del toccante discorso che lo scorso 24 novembre Zé Roberto ha tenuto negli spogliatoi rivolgendosi ai suoi compagni del Palmeiras. Sono parole semplici ma che acquistano peso quando a pronunciarle è un uomo di 43 anni che invece sembrava essere riuscito a fermarlo il tempo. Nel 1998 Zé Roberto vide dalla panchina la doppietta con cui Zidane demolì il suo Brasile nella finale mondiale di Saint-Denis, vinse il suo primo trofeo con il Real di Capello nel 1997, mentre solo l'anno scorso conseguiva l'unico campionato brasiliano della sua carriera. Anche se non ti si sentiva da un po' nelle serate di coppa, confortava sapere che eri ancora in giro, a correre sulla fascia sinistra in qualche imprecisato angolo del Sudamerica.

Dirk Kuyt
37 anni 
Imparai a conoscerlo con FIFA 2004, c'erano Van Persie e Danko Lazovic insieme a lui e quando ti trovavi a giocare con il Feyenoord il posto non era sempre assicurato. Sarà per questo che durante la sua carriera Kuyt ha sviluppato una duttilità che lo ha portato a ricoprire praticamente ogni ruolo sulla corsia di destra. Un giocatore quasi anonimo che nell'ombra è riuscito a costruire la sua grandezza. Il massimo risultato con il minimo appeal, una relazione testimoniata dai numeri che dopo il suo passaggio dal Feyenoord al Liverpool diminuiscono leggermente alla voce "goal" ma aumentano costantemente a quella "presenze". È Benitez a decentrarne il raggio d'azione per lasciare il centro del palco a Fernando Torres. Ne risulterà un elemento estremamente utile anche per Van Maarwijk e Van Gaal che anno dopo anno non smettono di convocarlo in Nazionale. Capito che il suo tempo in Inghilterra è finito va in Turchia, terra di riscatto e lacrime, da cui esce ancora una volta vincitore con un campionato, una coppa e una supercoppa conquistate con il Fenerbahce prima di tornare a casa. È significativo come dal 2000, quando ancora militava nell'Utrecht, alla stagione scorsa Kuyt abbia sempre superato le 30 presenze stagionali, il segno di una costanza e di un rendimento straordinari, esemplificati al meglio dalla sua ultima partita, nella quale segna una tripletta e conquista il campionato con il Feyenoord.


Sono dieci nomi ma ce ne sarebbero molti altri che hanno detto basta: Esteban Cambiasso, Martin Demichelis, Joan Capdevila, Maxwell, Kim Kallstrom, Paolo Cannavaro, Yakubu Ayiegbeni ("amatissimo" in patria, che se lo cerchi su Youtube ti esce subito questo) e Thomas Kahlenberg, che ai tempi dell'Auxerre era fortissimo su FIFA. Grazie di averci fatti sentire un po' più vecchi.


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