Paradigm shift africano
Dieci anni fa la qualificazione mondiale di Ghana e Costa d'Avorio sovvertiva alla base le gerarchie del calcio africano. Oggi il vento di scirocco che soffia dal Maghreb sconvolge altrettanto radicalmente il panorama continentale in vista dei prossimi Mondiali di Russia. Uno sguardo sul paradigm shift in atto dall'altro lato del Mediterraneo.
Mentre Ventura studia gli ultimi accorgimenti tattici e istruisce Bonucci su come posizionare il sale ai quattro angoli di San Siro, ieri si è completato il quadro delle cinque africane che parteciperanno ai Mondiali di Russia dell'anno prossimo. Tocca registrare le quattro new entries rispetto al Brasile e la prepotente ascesa delle formazioni nordafricane, due aspetti che invitano a qualche riflessione.
L'unico elemento di continuità rispetto a quattro anni fa è rappresentato dalla Nigeria che, un po' sorprendentemente, è uscita in scioltezza dal girone della morte che la contrapponeva agli eterni rivali del Camerun, alla deludentissima Algeria (2 punti in sei partite) e ai sempre imprevedibili Chipolopolo. Il Senegal ha vinto agevolmente un girone abbastanza debole dove non ha avuto difficoltà a confermare le impressioni di generale superiorità mostrate da Sadio Mané e compagni durante l'ultima Coppa d'Africa e parzialmente tradite nel momento della verità. Nigeria e Senegal saranno le uniche due rappresentanti dell'Africa sub-sahariana ai prossimi Mondiali, fatto mai accaduto da quando la CAF qualifica cinque squadre alla Coppa del Mondo e testimonianza del fatto che qualcosa è successo.
Fino ad oggi il Nordafrica non aveva mai portato più di una squadra per volta, in Russia ne porterà tre, con l'Egitto che dopo 28 anni è finalmente riuscito a riprodurre nelle qualificazioni mondiali lo strapotere che storicamente esercita nelle competizioni continentali, la Tunisia, che dalla fine degli anni Novanta ha la Nazionale di gran lunga più regolare tra quelle nordafricane e il Marocco, ennesimo caso di resurrezione operato dal taumaturgo Renard. Al di là della Tunisia, che ha domato un'emergente R.D. Congo, il segnale dell'avvenuto cambio di paradigma sta soprattutto nell'affermazione di Egitto e Marocco a spese di due vittime illustri. Ghana e Costa d'Avorio, senza dubbio le più credibili ambasciatrici del calcio africano nel corso degli ultimi dieci anni, hanno infatti opposto una minima resistenza al vento del cambiamento che sembra spirare dalle coste dal Nordafrica. Così come dieci anni fa Black Stars ed Elefanti sconvolsero il panorama continentale soppiantando due istituzioni come Sudafrica e Camerun, oggi la nouvelle vague nordafricana tira un colpo di spugna sugli equilibri consolidatisi nell'ultimo decennio.
Dal 2006 Ghana e Costa d'Avorio hanno preso il posto, nel ranking FIFA e nell'immaginario, che negli anni Novanta fu di Camerun e Nigeria, talvolta reggendo il confronto con le potenze europee e sudamericane ma raccogliendo meno di quanto avrebbero meritato, con un quarto di finale mondiale e una Coppa d'Africa in due. Ghana e Costa d'Avorio sono state le portabandiera del continente durante il Mondiale sudafricano, cruciale momento di esposizione mediatica per un movimento calcistico di cui troppe volte si è annunciata l'ascesa definitiva. I Drogba, gli Yaya Touré, gli Essien, sono state le stelle che, insieme al camerunense Eto'o, hanno fatto accendere nuovamente i riflettori sull'Africa dopo l'infatuazione di metà anni Novanta, quella che convinse più di qualcuno di come il calcio africano fosse il calcio del futuro.
Come nel 2006, quando oltre a Costa d'Avorio e Ghana, anche Angola e Togo diedero un insperato contributo alla sovversione dell'ordine precostiuito, l'anno prossimo in Russia vedremo quattro squadre nuove e volti sconosciuti o quasi. In fondo nessuna delle cinque qualificate sarà una debuttante ma l'assenza prolungata di squadre come Egitto e Marocco e la netta superioità mostrata nei gironi nei confronti delle sopra citate Ghana e Costa d'Avorio ci dicono che al di là del Mediterraneo qualcosa è cambiato. L'unica vera black star sembra ormai essere Thomas Partey, scudiero di Simeone all'Atletico Madrid ma che da solo non è bastato a evitare la sconfitta per 2-0 in Egitto e l'annullamento di un goal regolare che Dwamena ha segnato al 94' contro l'Uganda e che avrebbe tenuto in vita le residue speranze di qualificazione del Ghana. La sconfitta nel doppio confronto con il Marocco certifica invece la fine del ciclo iniziato dieci anni fa dalla Costa d'Avorio e di cui l'eliminazione al primo turno dell'ultima Coppa d'Africa era un chiaro indizio. Se vi sia vita dopo Drogba, al momento, non è dato sapere.
Novembre 2005, la prima storica qualificazione mondiale del Ghana. |
Come nel 2006, quando oltre a Costa d'Avorio e Ghana, anche Angola e Togo diedero un insperato contributo alla sovversione dell'ordine precostiuito, l'anno prossimo in Russia vedremo quattro squadre nuove e volti sconosciuti o quasi. In fondo nessuna delle cinque qualificate sarà una debuttante ma l'assenza prolungata di squadre come Egitto e Marocco e la netta superioità mostrata nei gironi nei confronti delle sopra citate Ghana e Costa d'Avorio ci dicono che al di là del Mediterraneo qualcosa è cambiato. L'unica vera black star sembra ormai essere Thomas Partey, scudiero di Simeone all'Atletico Madrid ma che da solo non è bastato a evitare la sconfitta per 2-0 in Egitto e l'annullamento di un goal regolare che Dwamena ha segnato al 94' contro l'Uganda e che avrebbe tenuto in vita le residue speranze di qualificazione del Ghana. La sconfitta nel doppio confronto con il Marocco certifica invece la fine del ciclo iniziato dieci anni fa dalla Costa d'Avorio e di cui l'eliminazione al primo turno dell'ultima Coppa d'Africa era un chiaro indizio. Se vi sia vita dopo Drogba, al momento, non è dato sapere.
I punti interrogativi per l'anno prossimo non sono pochi, soprattutto se l'unica certezza pare essere la Nigeria, una squadra che negli ultimi cinque ha alternato passaggi repentini dal successo, come la vittoria in Coppa d'Africa del 2013 o gli ottavi raggiunti ai Mondiali in Brasile, all'oblio, fallendo la qualificazione alle ultime due edizioni della Coppa d'Africa. Se è vero che il tedesco Gernot Rohr, supervisore tecnico nominato dalla federazione, nonché allenatore del Bordeaux all'epoca della storica rimonta sul Milan, sembra aver trovato una quadra inserendo giovani emergenti come Ndidi, Shehu e Iwobi, è pur vero che non si vede ancora un'idea di gioco precisa, un progetto che vada troppo al di là del contropiede in velocità e che sconta un annoso problema di qualità a centrocampo, ancora imperniato su Obi Mikel.
La storia ci insegna a non fare torppi pronostici, soprattutto alla luce di un paradigm shift come quello in atto, dove un Egitto senza gioco si è sbarazzato del Ghana orfano della sua generazione d'oro e il Marocco ha redatto il certificato di morte della Costa d'Avorio e che si presenterà dopo quasi vent'anni sulla ribalta internazionale forte di un gruppo dotato di ottime individualità ma che fino a quest'anno ha sempre fallito. Ultima nota di speranza per il Senegal, sulla carta la squadra più accreditata e che si presenterà in Russia con un tecnico africano: quell'Aliou Cissé capitano della spedizione che ci fece innamorare quindici anni fa in Giappone.
Etichette: Africa, Costa d'Avorio, Egitto, Ghana, Marocco, Mondiali, Nigeria, Senegal
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