domenica 11 giugno 2017

C'eravamo tanto amati

Nell'omonima pellicola Ettore Scola faceva riincontrare i suoi protagonisti a vent'anni dalla guerra. Ecco, fatte le debite proporzioni andiamo a vedere che fine hanno fatto i protagonisti del Mondiale Under 20 che si giocò in Malesia la bellezza di vent'anni fa. Chi erano? E che cosa fanno oggi questi ex giovani? Una rievocazione storica che parte da Henry, divenuto leggenda all'Arsenal, e arriva fino a Youssouf Kamara bomber del Civitavecchia.


Quest'oggi la cittadina sud-coreana di Suwon ha fatto da scenario agli ultimi atti del Mondiale Under 20 che tra stadi semivuoti, risultati a sorpresa e Vanuatu, ha tenuto banco nelle ultime tre settimane. L'Italia, che non ha esattamente una nobile tradizione in questa categoria, è riuscita una volta tanto a mettersi in luce, raggiungendo un insperato terzo posto battendo ai rigori l'Uruguay. L'Inghilterra invece ha portato a casa un campionato del mondo dopo 51 anni, anche se Under 20. Ma non siamo qui per parlare di questo bensì per rivangare il passato, ricordarcelo migliore di come era e ammonire i più giovani facendo loro presente che lo yo-yo sarà sempre meglio del fidget spinner.

Grazie a complessi calcoli e oscure inferenze statistiche ho portato alla luce un'interessante correlazione di dati che, se confermata da apposita peer review, dimostrerebbe come i giovani calciatori recentemente impegnati in Corea del Sud, avendo tutti più o meno 20 anni, sarebbero nati nello stesso anno in cui la fatidica TMC decise di trasmettere la prima edizione dei Mondiali Under 20 che io ricordi. Le partite erano trasmesse a tarda sera in differita e insieme al Winner Taco rappresentavano un ottimo diversivo per lenire le mie fatiche dopo le prolungate esposizioni ai raggi ultravioletti patite durante il giorno. Per ospitare l'inattesa manifestazione il vecchio Sepp Blatter pensò che non ci fosse niente di meglio dell'umidità equatoriale della Malesia (!), che fino a quel momento ignoravo disponesse di una vera Nazionale e di un campionato al di fuori di Fifa 97.

Come si dice di ogni manifestazione giovanile, fu la classica vetrina per i talenti del domani. Nomi sconosciuti che di lì a pochi anni sarebbero stati sulla bocca di tutti, nomi di predestinati che si sono persi in impolverati almanacchi e che adesso, armati di nostalgia, andiamo ad elencare.

Francia
Thierry Henry
Partiamo da colui che probabilmente avrà la carriera più brillante tra i giocatori di quell'estate malese. Come per i suoi compagni si può dire che il torneo del giovane Henry iniziò solo alla seconda partita: dopo lo 0-3 subito contro il Brasile infatti la Francia impiega 10 minuti per farne tre alla Corea del Sud, due di Henry e uno di Trezeguet, ça va sans dire. Henry che all'epoca forse non immaginava ancora la metamorfosi che nei primi anni 2000 lo trasformerà in implacabile bomber, finirà il torneo con tre goal, pezzo pregiato della selezione francese ma messo un po' in ombra dal più pronto compagno di reparto.

David Trezeguet
Henry, Gallas, Sagnol, Silvestre, Christanval, Landreau... pur fermandosi solo ai quarti contro l'Uruguay, con il senno di poi possiamo dire che la Francia di quell'estate ha avuto la rosa di maggiore successo, con ben due futuri campioni del mondo e quattro campioni d'Europa. In quella rosa la parte del leone la fece David Trezeguet che insieme al gemello Henry in quegli anni cresceva sotto gli occhi del Principe Alberto e cominciava a dare il cambio all'allora idolo di casa Victor Ikpeba. Trezegol finirà il torneo con cinque reti che gli valsero la Scarpa d'Argento. L'anno seguente vincerà una Coppa del Mondo a cui seguirà un golden goal agli Europei per cui stiamo ancora piangendo, svariati Scudetti e un titolo di campocannoniere con la Juventus. Tutto sommato non gli è andata male.


Nicolas Anelka
Una generazione d'oro quella del 1977, se non fosse che nel 1997 Anelka di anni ne aveva solo 18. Pochi mesi prima l'Arsenal aveva sborsato 500.000 sterline per strappare il baby fenomeno al PSG. Due anni dopo, in una delle più sbalorditive aste di calciomercato che ricordi, il Real Madrid ne sborsò più di 20 di milioni per portarselo a casa. L'inizio di una carriera in sali e scendi finita con troppe polemiche.

Peter Luccin
Ancora più giovane di Anelka, c'era un centrocampista del Cannes di cui si diceva un gran bene. Pur essendo il secondo giocatore più giovane della rosa, dietro al portiere Mickael Landreau, è fondamentale con il suo goal all'ultimo minuto contro il Messico agli ottavi. Viene acquistato dal Bordeaux di cui diventa rapidamente un elemento stabile e poi fa ritorno nella natia Marsiglia, dove nel 1999 sfiora la vittoria in campionato e Coppa UEFA. Va al PSG ma non incide. Emigrato in Spagna, la sua carriera si assesta sul generale livello di mediocrità che lo accompagnerà fino alla fine tra Celta, Atletico Madrid e Saragozza, dove alla soglia dei trent'anni gli infortuni iniziano a fargli perdere intere stagioni. Dopo un primo addio al calcio e un provino andato male con il Celtic, ritrova spazio in Svizzera, al Losanna, prima di volare negli USA dove strappa l'ultimo contratto di una carriera che sicuramente prometteva molto di più delle bombe da fuori area presenti in questo video a bassissima risoluzione che ho trovato su Dailymotion.

Philippe Christanval
Alla vigilia della semifinale di Champions contro la Juventus il difensore del Monaco Franck Dumas si infortuna, una tegola a cui il tecnico Jean Tigana pensa di porre rimedio buttando nella mischia un ragazzino che non è ancora stabilmente in prima squadra e la cui esperienza più provante è stato proprio il Mondiale Under 20 dell'anno prima. Philippe Christanval fa quello che può contro gli straripanti Del Piero, Inzaghi, Zidane ma dimostra di poter stare a quel livello. La vittoria in Ligue 1 del 2000 lo posiziona rapidamente sul radar dei maggiori club europei. Se lo aggiudica il Barcellona che con il canterano Puyol pensa di avere già in tasca la linea difensiva per il decennio successivo. In Spagna le cose non vanno esattamente come auspicato e il giovane francese si accomoda più spesso che no sulla comoda panchina del Camp Nou. Il minimo per guadagnarsi sulla fiducia la convocazione per i Mondiali in Giappone. Un altro passaggio a vuoto a Marsiglia mina il credito guadagnato in gioventù da Christanval che non riesce a convincere Wenger a ingaggiarlo, il che è tutto dire visto l'amore del tecnico francese per i suoi connazionali. Finisce al Fulham dove passa tre anni tranquilli senza però che alla scadenza del contratto ci sia nessuno pronto a farsi avanti per lui. Philippe non ne fa un dramma e ad appena trent'anni ha già pronto il piano B. Lui che a 18 anni, dopo il primo contratto da professionista, decise di comprarsi una casa a Montecarlo, lui che a 22 anni, appena arrivato a Barcellona investì in un altro immobile nel capoluogo catalano, lui che oggi fa l'agente immobiliare e ha uno stadio a lui intitolato nella sua Sarcelles.


Argentina
Juan Roman Riquelme
Ha 19 anni e l'etichetta di nuovo Maradona già sulle spalle. Guida una squadra, questa sì, con una grande tradizione a livello giovanile che arriva in Malesia con il titolo di campione in carica lasciato in eredità da una generazione molto più povera di talento se pensiamo che il nome di maggiore spicco era quello di Juan Pablo Sorin. Insieme al piccolo attaccante dell'Estudiantes Bernardo Romeo trascina l'Argentina contro Ungheria e Canada prima della rocambolesca sconfitta contro l'Australia (ma che balletto fa Leo Franco dopo il primo goal?!). Nei quarti, contro il favorito Brasile, è suo l'assist chilometrico che pesca Scaloni, prima che quest'ultimo entri in area e da posizione angolata infili il pallone sotto la traversa. È sempre il suo piede destro che fa partire il corner intercettato di testa da Cambiasso per il goal del momentaneo pareggio nella finale contro l'Uruguay, così come è ancora lui che con un delizioso pallonetto innesca l'azione che porta al definitivo 2-1 di Diego Quintana. È da queste terre lontane che Roman iniziò a predicare il suo Vangelo.

Riquelme e Alex nel quarto di finale Argentina-Brasile.

Pablo Aimar
Riquelme è il nuovo Maradona ma la numero 10 è sulle spalle di questo fragile fantasista che viste le doti da giocoliere in patria chiamano già El Payaso. Ancora più giovane di Roman, Pablito è decisivo negli ottavi contro l'Inghilterra, dove prima si procura il rigore che viene trasformato da Riquelme e poi piazza dal limite il goal del 2-0. All'alba del nuovo millennio arriva l'atteso arrivo in Europa, al Valencia vicecampione d'Europa da cui si immagina la sua carriera spiccherà il volo verso lidi più prestigiosi. Saragozza e Benfica saranno le sue destinazioni. Curiosamente nel 2014 il buon Pablito fa ritorno in Malesia, proprio nello stadio dove 17 anni prima fece impazzire i difensori inglesi, a Johor Bahru. I tifosi del Johor Darul Ta'zim evidentemente hanno buona memoria oltre che buon gusto.

Pablito torna a Johor, 17 anni dopo.

Esteban Cambiasso
A 17 anni non ancora compiuti il Cuchu è uno dei giocatori più giovani del torneo ma anche uno dei più promettenti. Non a caso il Real Madrid lo ha da tempo acquistato dall'Argentinos insieme al fratello Nicolas. Cambiasso è decisivo in finale dove agguanta il pareggio in una finale che rischiava di sfuggire di mano. Da lì in avanti una carriera tra le più luminose tra quelle dei giocatori del Mondiale malese. Le soddisfazioni crescono al cadere dei capelli, al Real ma soprattutto all'Inter, dove vince le iniziali diffidenze... «con Burdisso e Cambiasso non si vince un casso»... e si guadagna la sua fetta di immortalità tra gli eroi del triplete. Oggi, a vent'anni da quell'estate è ancora in pista, a mordere caviglie in Grecia e in Europa con la maglia dell'Olympiakos.

Walter Samuel
The Wall è l'elemento di spicco di un reparto difensivo che lascerà il segno negli anni a venire in Europa e in Argentina. Dopo quell'estate il difensore del Newell's passa al Boca e da lì sappiamo com'è andata. Accanto a lui Pekerman schiera altri nomi che troveremo ai Mondiali veri, come Diego Placente, protagonista in Champions con il Bayer Leverkusen, Leandro Cufrè, mitologica meteora romanista, Lionel Scaloni, che si chiamava così prima di Messi e anche Fabian Cubero, mai avvistato da questo lato dell'oceano ma che dopo 20 anni non ha ancora smesso di scrivere la storia del Velez.

Diego Quintana
Non se lo ricorda più nessuno ma guardando i filmati di allora non si può non notare un caschetto svolazzare in giro per il campo. Apparateneva a questo micro-centrocampista offensivo che Pekerman impiegava sulla destra. Alto poco più di 1,60m, la sera del 5 luglio 1997 scrisse la propria piccola pagina di storia segnando il goal decisivo che valse il trofeo all'Argentina. Compagno di Samuel al Newell's, Quintana rimane a maturare nella natia Rosario da dove nel 2001 arriva l'attesa chiamata dall'Europa. C'è il Real Murcia ad attenderlo, non prorpio il vertice del calcio spagnolo ma tant'è. Quintana si fa tre stagioni senza però mai trovare lo spazio desiderato. Nel 2005 approda allo Skoda Xanthi e la sua carriera sembra arenarsi sulle coste della Macedonia greca. E invece è proprio in questa oscura provincia bagnata dall'Egeo che Quintana trova la sua dimensione, diventando bandiera e oggetto di culto presso i suoi nuovi tifosi, che oltre ai suoi goal, imparano ad apprezzarne il vibrato alla chitarra.

Diego Markic
Chi è il tizio che tiene la coppa in mano insieme a Riquelme nella foto di copertina? Una domanda più che legittima se non siete tifosi del Bari sulla trentina. Si tratta di Diego Markic, centrocampista allora in forza all'Argentinos che nel centrocampo di Pekerman dirigeva le prime donne poste sulla trequarti. Un capitano oscuro di cui non si sente più parlare per almeno due anni, quando a Bari, al costo di chissà quale comproprietà e opzione di riscatto, qualcuno lo porta alla corte di Fascetti. Senza che nessuno se ne accorga, in cinque stagioni colleziona un'ottantina di presenze tra Serie A e Serie B, prima di fare ritorno in patria dove termina precocemente la carriera al Quilmes. Un raggio di sole nella foschia, quell'estare di vent'anni fa, che emana ancora i suoi bagliori visto il legame personale che lega tuttora Markic al suo mentore, José Pekerman, che lo ha voluto al suo fianco nella sua ultima avventura da tecnico della Colombia.

Brasile
Adailton
Scorrere i nomi di quel Brasile oggi suscita tuttalpiù un'alzata di sopracciglio se non un vero e proprio sorriso. Eppure nel 1997 i "ragazzi venuti dal Brasile" sembravano i maggiori indiziati per portare a casa la coppa. Sensazione confermata da un avvio folgorante: 25 goal in quattro partite, 10 dei quali segnati da questo piccolo attaccante in forza al Guaranì che dopo i primi sei messi a segno contro la Corea del Sud si attira le attenzioni del Parma. Adailton arriva in Serie A forte del titolo di capocannoniere del Mondiale Under 20. Da lì una carriera che non ingranerà mai del tutto o che forse aveva promesso troppo. Se a Parma non trova spazio e al PSG non convince, è a Verona che il giocatore sembra trovare la sua dimensione. In sei anni di B tra Verona, Genoa e Bologna, Adailton lascia ovunque un buon ricordo fatto di assist, due promozioni e goal al 93' contro la Juve. Stesso discorso in Romania, dove, anche se a fine carriera, il suo sinistro vellutato diventa oggetto di culto. Dal trailer sembrava un colossal, alla fine abbiamo visto un bel film indipendente.

Alex
Gli attaccanti erano Adailton e lo sfortunato Fernandão ma l'inventore delle magie che si vedevano là davanti era questo fantasista che giocava nel Coritiba. Se lo ricorda bene Gillet, l'ex portiere di Bari e Genoa, che in un pomeriggio malese di vent'anni fa ne prese 10 dal Brasile, di cui tre proprio da Alex. Dopo il 10-3 contro la Corea i verdeoro vinsero infatti 10-0 con il Belgio, arrivando allo scontro diretto contro l'Argentina un tantino sicuri di sè. Come detto Scaloni e lo sconosciuto Perezlindo manderanno a casa la Seleçao e consegneranno Alex a una carriera per certi versi simile a quella di Adailton. Affermatosi al Palmeiras, proprio a Parma subisce una battuta d'arresto non riuscendo a convincere l'allenatore Prandelli. Da qui il ritorno a casa e l'inizio di una carriera da idolo locale, giocatore di culto al Cruzeiro e al Fenerbahce, dove con oltre 200 partite e 136 goal diventa per tutti il Comandante.

Athirson
Nel 1997 il presente si chiama Roberto Carlos ma la fascia sinistra del Brasile sembra con ogni probabilità destinata a questo terzino del Flamengo su cui la Juventus mette gli occhi. 5 sono le partite che Athirson giocherà con i bianconeri, vincendo pure uno Scudetto, 5 come le presenze che riuscirà a strappare anche in Nazionale maggiore dove gioca una Confederations Cup. Uno gli dà fiducia ma questo se ne approffita.
Athì, ma che c'avrai da esultare?

Zé Elias
Per la verità io me lo ricordavo già dall'estate precedente, quella delle Olimpiadi di Atlanta e dell'incredibile partita con la Nigeria. Zé Elias e Zé Maria, un'assonanza indissolubile ancora oggi che dovrei avere altro per la testa.

Uruguay
Marcelo Zalayeta
È qui che El Panteron si rivela al mondo ed è a questo torneo che lo associo ancora oggi ogni volta che lo sento nominare. Fu anche per lui che la sera della finale tifai per l'Uruguay, per l'occasione in un'incredibile tenuta rossa. L'arrivo in Italia, l'insperato ritorno alla Juve nei primi anni 2000, il goal al Barcellona in Champions, la sua pluriennale presenza nel nostro campionato, imperturbabile al passare del tempo, ha sempre rappresentato per il sottoscritto un ideale ponte metafisico con quell'estate. Dei suoi quattro goal, decisiva risulterà la doppietta contro gli USA agli ottavi. Di lì a poco arriverà la convocazione con la Nazionale maggiore per la Confederations Cup prevista alla fine di quell'anno. Un peccato che la sua storia con la Celeste non sia andata molto oltre.

Nicolas Olivera
Sì, bravi tutti, ma alla fine chi fu il migliore di quel Mondiale? Lui, Nicolas Olivera, piccolo ma tecnico attaccante del Defensor che con il fisico Zalayeta formava una delle tante coppie d'oro viste in Malesia. Nonostante la sconfitta in finale, fu proprio Olivera ad essere scelto come migliore del torneo. Due i suoi goal, uno dei quali pesantissimo, contro la Francia ai quarti. Al pari di Henry, Trezeguet, Riquelme e Adailton sembrava uno dei più pronti a compiere il grande passo verso il calcio che conta. Il Valencia lo fa suo ma in cinque mesi Ranieri lo fa scendere in campo solo due volte. Un inizio difficile che gli aprono la porta di servizio del calcio spagnolo. In un saliscendi tra Liga e Segunda, a Siviglia Nicolas trova il suo spazio. Passato al Valladolid, intorno ai 26 anni si trova dover scegliere tra un'anonima carriera nei bassi fondi del calcio spangolo o il ritorno a casa. Il Defensor riaccoglie il figliol prodigo che inizia una migrazione stagionale tra Uruguay e Messico conclusasi solo quest'anno e di cui rimangono solo bei ricordi.


Fabian Carini
Per quanto mi riguarda uno dei giocatori più misteriosi degli ultimi decenni. Quando sono andato a controllare la rosa dell'Uruguay prima di scrivere questo post sono rimasto sorpreso, ma neanche troppo, di trovarlo anche qui, dove faceva il secondo portiere, ovviamente. Carini aveva 17 anni quando si presentò in Malesia con lo status di baby fenomeno tra i pali del Danubio. Un'etichetta che non si leverà mai più e che non riesco a capire se gli abbia giovato o lo abbia danneggiato. Fatto sta che quattro anni dopo arrivò alla Juventus con la stessa etichetta senza scendere mai in campo. Dopo due anni in prestito a Liegi, all'Inter si ricordano che in giro per l'Europa c'è un giovane portiere che è il futuro del ruolo: quattro presenze in tre anni e un prestito a Cagliari. 25 presenze in cinque anni gli valgono ben 74 apparizioni in Nazionale e due partecipazioni alla Coppa America, a suo modo un record. Carini arriva all'Atletico Mineiro che ha 30 anni, poi il ritorno a casa al Peñarol e allo Juventud, fino a quest'anno, quando gli infortuni lo obbligano al ritiro, proprio nel momento in cui il Montevideo Wanderers lo chiama per giocare la Libertdores. C'è qualcun altro oltre a me che aspetta ancora che Carini esploda.

Spagna
I ragazzi teribili di Cuper
Di quella Spagna che rischiò di andare veramente lontano se non fosse stato per il rigore dell'irlandese Molloy ai quarti, rimangono quattro nomi indissolubilmente legati tra loro. Partiamo da Miguel Angel Angulo, la cui effigie compeggia anche su questo blog. Arriva al Mondiale dopo una stagione da protagnista nel Villarreal, in Segunda, da dove convince Claudio Ranieri a portarlo a Valencia. Si dimostra molto duttile e diventa presto un elemento imprescindibile della squadra anche dopo l'avvento di Hector Cuper. In semifinale di Champions sega il Barcellona con una doppietta e diventa brevemente una delle colonne di un Valencia che all'inizio del millennio sta vivendo il periodo migliore della sua storia con due finali Champions, una Liga e una Coppa UEFA conquistate nel giro di quattro anni. Angulo è una colonna ma dal basamento fragile. Alla soglia dei trent'anni le presenze diminuiscono a vista d'occhio mentre aumentano le giornate di allenamento differenziato e fisioterapia. Insieme ad altri senatori come Cañizares e Albelda viene allontanato dalla prima squadra dall'allenatore Koeman prima di tornare tra i ranghi dopo l'esonero dell'olandese. Qualche altra stagione, forse più per riconoscenza che altro e poi l'addio. Come Angulo anche David Albelda arriva dal Villarreal e dedicherà la sua carriera al Valencia. A differenza del compagno, David riuscirà a ritagliarsi il suo spazio anche in Nazionale, appena prima, peccato per lui, che la metamorfosi che a metà anni 2000 ha trasformato la Roja da eterna incompiuta a superpotenza giunga a compimento. Membri della spedizione e protagnisti del Valencia più bello di sempre sono anche Gerard e Farinos, due centrocampisti che nella primavera del 2000 facevano sognare i grandi club europei e di cui invece ci rimangono una tripletta contro la Lazio e un dimenticabile trascorso all'Inter.

Da destra a sinista: Angulo, Albelda, Gerard. Sotto: Farinos.

Inghilterra
Michael Owen
Il suo nome è già sulla bocca di tanti quando a 17 anni atterra con il resto della squadra in Malesia. Solo qualche settimana prima segna il suo primo goal con il Liverpool, alla prima tra i professionisti. Un gioco da ragazzi per lui trasformare il rigore che dopo sei minuti mette sotto la Costa d'Avorio nel primo match del torneo. Alla resa dei conti però, agli ottavi con l'Argentina (guarda caso), manca clamorosamente, lasciando le poche iniziative inglesi al generoso e oscuro Ritchie Humprhreys, una carriera anonima iniziata allo Sheffield Wednesday e continuata parallela ai successi di Wonder Boy nelle serie inferiori del calcio inglese. A chi tutto e a chi niente.

Jamie Carragher
Chi la sua parte contro l'Argentina la fece fu Jamie Carragher, anche lui ragazzo della Kop che all'inizio del secondo tempo, sotto di due, sfugge alla marcatura di Cufrè e sbatte di testa il pallone della speranza. Anche lui le soddisfazioni le raccoglierà altrove.

  
Irlanda
Damien Duff
Ha qualche mese più di Owen, anche lui ha già mosso i suoi primi passi in Premier ma Damien Duff è il portabandiera di una squadra che si presenta in Malesia senza troppe pretese. Poco prima della partenza sul CT Brian Kerr si abbatte anche la tegola dei mancati permessi di viaggio per diversi giocatori di peso come Ian Harte, David Connolly e Kevin Killbane. Questo apre la porta ad alcuni giocatori di seconda fila come Trevor Molloy. Si inizia con una sconfitta contro il sempre quotato Ghana, almeno a livello giovanile, poi una vittoria contro gli USA e un pareggio con la Cina. Giocare gli ottavi contro il Marocco deve essere già sembrato tanto, non a Duff che, come gli capiterà molte volte in carriera, scatta sulla sinistra e con un'ineffabile finta di corpo fa fuori Karbouch prima di battere il portiere. Ai quarti, contro la favorita Spagna, Duff lascia i riflettori a Trevor Molloy, fascetta bianca e voglia di ballare dopo il rigore trasformato che porta l'Irlanda in semifinale. Anche per lui quell'impresa regala il sogno di una carriera chissà dove, ma a lui basta lo Shamrock Rovers, la sua squadra del cuore. In semifinale l'Argentina è troppo forte, rimane una medaglia di bronzo da giocarsi ancora una volta contro il Ghana. Come contro il Marocco Duff scatta sulla sinistra e infila in velocità la difesa avversaria: l'Irlanda è terza in un Mondiale, Under 20, ma sempre un Mondiale è. Al ritorno a casa i ragazzi di Brian Kerr sono accolti come eroi. TV e giornali celebrano l'evento come fosse un 6 Nazioni vinto. Ancora oggi la memoria di quell'estate è viva nei ricordi di chi ha visto giocare quei ragazzi che in Malesia si può dire abbiano raggiunto l'apice della propria carriera. Duff a parte. Rievocando la sua storica campagna, l'ex CT Kerr ha recentemente dichiarato: «sapevo di non avere a disposizione giocatori eccezionali, ma sapevo di avere una squadra eccezionale.»

Damien Duff e il CT Brian Kerr.

Ghana
Stephen Appiah
Quando arrivò, diciassettenne, all'Udinese, è presumibile pensare che gli osservatori di Pozzo qualche partita di questi Mondiali Under 20 la debbano aver vista. Appiah è uno dei più giovani ma si fa già notare in mezzo al campo e sotto rete, dove segna il goal del pareggio contro una sorprendente Cina. Poi sappiamo com'è andata in Serie A, la maturazione a Brescia agli ordini di Mazzone e  al fianco di Baggio e Guardiola, la chiamata alla Juve e la consacrazione con la Nazionale di cui fu capitano nella storica campagna ai Mondiali in Sudafrica.

Peter Ofori-Quaye
Altro oggetto misterioso, personalmente conservo alcuni ricordi di lui con la maglia dell'Olympiakos in Champions League, ricordi che a quanto pare hanno un fondo di verità.  Diciassettenne come Appiah, avrà la possibilità di giocare anche i successivi Mondiali Under 20 nonostante spesso e volentieri fosse chiamato da Dossena in Nazionale maggiore. Come altri reduci di questo Mondiale, troverà in Grecia la sua patria, all'Olympiakos, come detto, ma anche all'OFI Creta dove a metà anni 2000 riuscirà parzialmente a uscire dall'oblio e a riconquistare la Nazionale.

Australia
Kostas Salapasidis
Kostas mostra felice la maglia del Compostela.
Come accennato sopra, la cavalcata trionfale dell'Argentina ebbe una rocambolesca battuta d'arresto nella prima fase. La colpa fu tutta di questo diciannovenne australiano chiamato un po' per caso dal selezionatore australiano, alle prese con una improvvisa moria di attaccanti. La sera del 23 giugno 1997, per qualche strano potere soprannaturale conferitogli da oscuri culti pagani praticati nel vicino Borneo, il giovane Kostas sembra volare, riuscendo sempre ad anticipare Samuel e Cufrè. Dopo l'iniziale svantaggio, con i suoi goal porta i Socceroos sul 3-1. Placente e poi Riquelme su rigore ristabiliscono la parità a due minuti dalla fine. Pareggio e tutti contenti. E invece no, sulla destra dell'area argentina arriva un pallone, l'attaccante entra e viene messo giù. Rigore che ovviamente Salapasidis trasforma per il poker personale e il primo posto nel girone. Agli ottavi l'incantesimo sembra svanito e basta un goal di Yanagisawa, un altro su cui ci sarebbe da scrivere, per mandare a casa gli australiani. E poi? E poi il brusco ritorno alla realtà del semiprofessionismo australiano. Un paio d'anni dopo, quando tutti sembrano essersi dimenticati di lui, dalla Galizia arriva una chiamata inaspettata. Ad alzare il telefono è José Maria Caneda, imprenditore del settore elettrico e presidente del Compostela che oltre a un grande senso dello spettacolo, paragonabile a quello di Gaucci e Matarrese, ha anche buona memoria, ricordandosi di quella partita vista un paio di anni prima. Salapasidis arriva a Compostela per 600.000 euro per andarsene appena un anno dopo senza lasciare il minimo segno. Di lui rimane l'allucinato ricordo giovanile di Samuel e Cufrè e un invidiabile record di 15 goal in 15 partite con la selezione Under 20 australiana.

Costa d'Avorio
Youssouf Kamara
Kamara alla sinistra di Drogba, quello con la coppa (!).
Se avete resistito fin qui vi meritate la chicca finale. Quell'estate di vent'anni fa tra i fenomeni minorenni di cui abbiamo parlato fino adesso c'era anche lui. Aveva 15 anni ed era il secondo giocatore più giovane della manifestazione dopo il suo compagno Daouda Mariko. Youssouf arrivava dalla prestigiosa accademia dell'ASEC Mimosas, da cui sono usciti molti dei più importanti calciatori ivoriani degli ultimi anni. Il Mondiale finisce presto per gli africani che se ne tornano a casa con un punto in tre partite, perarltro rimediato grazie a un goal dell'ex reggino Serge Diè che valse un pareggio contro il Messico. Finito il Mondiale Youssouf torna alla vita di tutti i giorni, casa e pallone, sognando l'Europa. Un paio di anni dopo il Napoli bussa alla sua porta, il ragazzo promette bene ma deve crescere, via in prestito al Bellinzona. Nel 2001, l'anno che segnò l'inizio della fine per il Napoli pre-De Laurentiis, viene aggregato in prima squadra prima di essere ceduto alla Cavese. Senza rendersene conto Youssouf, che ha ancora 23, 24 anni si ritrova invischiato nell'Eccellenza campana, una sabbia mobile da cui riesce a tirarsi fuori solo con qualche aggancio in Romania, dove passerà quattro buone stagioni prima di tornare a calcare gli spelacchiati campi di Cicciano, Nerostellati Frattese e Civitavecchia. Evidentemente la profonda provincia italiana fa al caso di Youssouf. Luoghi tranquilli, dove nonostante le polemiche è comunque apprezzato da tifosi che forse non sanno che vent'anni fa, Youssouf, giocava con Michael Owen.


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