Caro Maestro/III
In questa puntata: Maradona al Flamengo, anzi no, al Boca, anzi no... Batistuta contro la municipale, le notti insonni di Cecchi Gori, una storia di giocatori in affitto, Tabarez in galera. Densità stimata: 3,7 aneddoti per centimetro quadrato.
Cambio vita, me ne vado in Argentina
C’eravamo lasciati alla notte dell’Olimpico dove l’Uruguay
esce sconfitto ma con l’onore delle armi. I tanti falli fischiati
ai sudamericani lasciano qualche strascico polemico che come nel suo
costume Tabarez non raccoglie: «Auguro
all'Italia di vincere questo Mondiale, se lo meriterebbe proprio. Ai
nostri tifosi li rimando ai campionati del '94 negli Stati Uniti»
Un signore quell’uruguayano, l’avrà pensato anche Gianni
Brera, che in uno dei suoi ermetici pezzi ha
solo parole di elogio per il gioco intelligentemente difensivo
mostrato dalla sua squadra.
Quella notte magica, quell’estate italiana però lascia qualcosa
di più di un’onorevole eliminazione, è l'inizio di un rapporto
simbiotico tra il calcio uruguayano e la nostra Serie A che in
qualche modo dura tuttora. Per qualche insondabile affinità elettiva
dovuta forse al mare, forse ai buoni uffici che Tonino Orrù e
Massimo Cellino potevano vantare presso il tentacolare procuratore
Paco
Casal, è a Cagliari che si forma la prima
“Little Montevideo” italiana. All'inizio dei Mondiali Fonseca non
fa in tempo a scendere in campo che ha già firmato il suo nuovo
contratto con i rossoblu. Nell’ambiente teso di Veronello per la
sconfitta subita con il Belgio, la trattativa per “Pepe” Herrera,
su cui perfino la Juventus
aveva messo gli occhi, va per le lunghe. Alla fine, con qualche
giorno di ritardo Herrera potrà esternare tutta la sua gioia:
«Adesso
sono felice e capisco cosa ha provato Fonseca dopo la firma col
Cagliari. Il richiamo di Cagliari è stato troppo allettante per
lasciarsi sfuggire l'occasione, in Italia si gioca il miglior calcio
del mondo»
Qualche settimana e anche Francescoli si decide a sbarcare in
Sardegna. E il Maestro? Ovviamente attraccherà anche lui al porto di
Cagliari ma il suo sarà un viaggio un po’ più lungo. Prima tappa:
Buenos Aires.
Date le aspettative della vigilia, l’eliminazione agli ottavi
non lascia troppi margini per una riconferma che già prima del
Mondiale appariva improbabile visti gli attriti e le incomprensioni
con una federazione che El Maestro giudica troppo assente e
disorganizzata. In Sudamerica le sue doti tecniche ed umane però
sono note e non passa molto tempo prima che arrivi la chiamata di
Antonio Alegre, l’uomo a cui a metà anni Ottanta il presidente
argentino Raul Alfonsin aveva chiesto di salvare il Boca Juniors dal
fallimento. Un grande onore ma anche una grande responsabilità per
Tabarez che racconta
come appena arrivato alla Bombonera si sentì dire: «allenare
il Boca non è come essere Presidente della Repubblica, ma quasi.»
All’inizio del 1991 il Boca è una squadra in salute ma che non
alza un trofeo importante da quasi dieci anni, per questo il
deludente ottavo posto rimediato nel Campionato Apertura 1991 ha
convinto la dirigenza a esonerare il tecnico Carlos Aimar. La rosa a
disposizione non è eccelsa ma questo di certo non spaventa El
Maestro che più che campioni cerca allievi disposti ad imparare.
Tra questi allievi spicca un giovane attaccante con i capelli biondi.
Arriva dal River Plate dove l’allenatore Daniel Passarella lo ha
sommariamente bocciato dopo poche partite. Segna poco, spreca tanto
ma Tabarez non impiega molto tempo per capire che quel capellone che
Aimar fa giocare esterno è in realtà l’unico vero centravanti
della squadra. Il suo nome è Gabriel Omar Batistuta. La prima cosa
che fa Tabarez dopo il suo arrivo è spostarlo al centro
dell’attacco, mettendo al suo servizio la fantasia e la velocità
di Diego Latorre e Alfredo Graciani. Il Maestro non rinuncia
al suo amato
4-3-3, che con Batistuta si arricchisce di
quella punta centrale forte fisicamente che gli era mancata nel
biennio passato alla guida dell'Uruguay. La vera stella del Boca però
è Latorre che rispetto all’amico Bati ha avuto un inizio carriera
travolgente, esordendo in prima squadra a 18 anni e guadagnandosi per
primo l’ingombrante etichetta di erede di Maradona.
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Fammi spazio. |
Il segno per la verità l’ha già lasciato con tre Superclásicos
vinti in neanche tre mesi che gettano le basi di una delle strisce
più vincenti del Boca nella storica rivalità con il River. In due
anni saranno 12
le vittorie nel derby, con una sola sconfitta e
ben due affermazioni in Libertadores. Due mesi dopo il miracoloso 4-3
della Bombonera si gioca infatti il ritorno
al Monumental dove Batistuta sale in cattedra. Prima si procura un
rigore che trasforma spiazzando il portiere, poi manca di un
centimetro una palla che è solo da spingere in rete, infine si fa
perdonare segnando di testa al termine un'azione fotocopia di quella
precedente. In campionato il Boca di Tabarez vola, con sette vittorie
nelle prime dieci partite, due soli goal subiti e nessuna sconfitta,
scava un profondo solco tra sé e le inseguitrici già a metà del
torneo. Il segreto? Pur non parlando lo spagnolo lo si può capire
abbastanza bene da questa vecchia VHS
che si apre simbolicamente con le immagini del titolo del 1981,
l'ultimo del Boca fino a quel momento, l'unico di Maradona con la
camiseta gialloblu.
Tabarez si impegna fin da subito a trovare la posizione ideale per
ciascun giocatore, a tirare fuori il meglio di ognuno per mettere in
campo una squadra che sia sempre protagonista. El Maestro
ammette, e nel 1991 non potrebbe fare altrimenti, di ispirarsi al
Milan di Sacchi, anche se tiene a precisare come per lui non fosse
Sacchi in sé l'elemento determinante. «Per
me i veri protagonisti erano i Baresi, i Gullit, i Van Basten,
giocatori all'altezza della proposta [di gioco ndr]».
Se in campionato gira che è una
meraviglia, in coppa la squadra concede qualcosina, soprattutto
quando è costretta a giocare in altura. Due sconfitte in Bolivia non
pregiudicano il passaggio agli ottavi, dove il Boca supera nel doppio
confronto il Corinthians. Ai quarti c'è il Flamengo che all'andata
si impone al Maracanà e al ritorno si presenta alla Bombonera con il
ramoscello
d'ulivo. I giocatori brasiliani infatti entrano
in campo portando uno striscione su cui si legge: «Maradona,
Flamengo te ama, hoy y siempre».
Ossequi che celano da una parte i tentativi dei brasiliani di
arruffianarsi l'ostile pubblico argentino e dall'altro quello di
mandare un messaggio a Diego, che pur sottoposto a squalifica in
Italia, avrebbe comunque potuto trovare una sistemazione temporanea
in Brasile. Gli applausi così guadagnati servono però a poco contro
Batistuta, che segna un rigore in apertura e Diego Latorre, la cui
doppietta ribalta il risultato dell'andata e porta il Boca in semifinale.
Una notte di ordinaria follia
Ultimo ostacolo prima di una finale che
manca del 1979 è rappresentato dai cileni del Colo-Colo. Forte della vittoria dell'andata, El Maestro ostenta tranquillità alla vigilia di quella che appare come una normale semifinale di copppa ma che si
rivelerà essere uno dei momenti più drammatici della sua carriera. Le immagini della partita,
oltre a rendere bene l'idea del delirio e della quantità di carta
igienica che si potevano trovare in uno stadio sudamericano 25 anni
fa, fanno capire come nel secondo tempo i giocatori del Boca abbiano
lasciato la testa negli spogliatoi. Al 20', alla destra dell'area del
Boca, si vedono due loschi figuri scambiarsi il pallone. Sembrano
guerrieri mapuche o forse fanno solo parte di una cover band degli
Europe. Il primo, quello che si accentra e scarica per il compagno, è
Gabriel Mendoza. È uno dei terzini sudamericani più promettenti dei
primi anni Novanta e oggi fa l'assessore allo sport a Viña
del Mar. Il secondo, quello che supera due avversari e crossa in
mezzo ad altri due prima del goal di Ruben Martinez, è Marcelo
Barticciotto: argentino di Avellaneda, nato il 1° gennaio 1967 ma
registrato all'anagrafe un giorno prima per volere del padre che
contava di fargli guadagnare un anno da dedicare agli studi
universitari. Aveva fatto male i suoi calcoli però perché
Barticciotto lascia anzitempo l'università per seguire i suoi
interessi, tipo diventare una leggenda del Colo-Colo. Passano 120
secondi e Barticciotto fa 2-0. Una manciata di minuti e gli
attaccanti cileni passeggiano in area con i difensori che stanno a
guardare un colpo di tacco e un tiro di Jaime Pizarro che finisce di
poco fuori. Le poche volte che il Boca riesce ad uscire dalla propria
metà campo la palla cade presto preda dei difensori cileni che fanno
ripartire l'azione colpendo soprattutto da destra. Gli xeneizes,
a cui in fondo basterebbe un goal per tenere viva la speranza di
qualificazione, sembrano prossimi alla resa quando Batistuta riceve
palla sul vertice dell'area e senza guardare mette in mezzo dove,
forse il caso, forse l'attenzione agli schemi di Tabarez, vuole che
sbuchi Latorre che di testa accorcia le distanze. Il goal dà un po'
di morale agli argentini che però hanno evidentemente meno benzina
degli avversari.
Quando lo spettro dei supplementari (sì, proprio quello spettro lì) inizia ad aleggiare sul Monumental di Santiago, Martinez e Yañez del Colo-Colo chiudono un triangolo che taglia a metà la difesa del Boca. Ancor prima che Martinez possa battere a rete solo davanti al portiere, il Boca Juniors, lo staff, i tifosi a casa, hanno già tutti la mano alzata a chiamare il fuorigioco. Il guardalinee non batte ciglio, il goal è regolare. È l'inizio della corrida. In dieci minuti di ordinaria follia sudamericana succede quanto segue: in campo entra chiunque; i giocatori rilasciano interviste nel mezzo della partita; Tabarez aggredisce un uomo che risponde colpendolo al volto; le forze dell'ordine circondano il portiere e capitano del Boca, Navarro Montoya, mentre lancia il supporto di un microfono; giocatori argentini si avventano su persone non meglio identificate; Batistuta insegue un fotografo che lo respinge facendo roteare la sua macchina fotografica come se avesse in mano delle bolas; ancora Navarro Montoya, con i cani alle calcagna, si lancia su un malcapitato finito a suon di calci volanti, gomitate e pugni in testa da altri giocatori del Boca prima di uscire mestamente dall'inquadratura; Batistuta urla a qualcuno un inequivocabile «hijo de puta, hijo de puta!» per poi sferrare un calcio che finisce addosso a un carabiniere, il tutto mentre un insanguinato Tabarez cerca di trattenerlo per la maglia. La partita in qualche modo riprende ma dopo neanche un minuto un giocatore del Boca viene colpito da un oggetto. Dalla porta si vede un capellone che parte alla rincorsa, è il solito Navarro Montoya che con i pantaloni visibilmente lacerati dal morso di un cane, si precipita per protestare in faccia all'arbitro, prendere il pallone e scagliarlo in tribuna, guadagnandosi l'indiscusso titolo di idolo della serata. Se la caverà con un cartellino giallo. Quando si dice arbitraggio all'inglese...
Quando lo spettro dei supplementari (sì, proprio quello spettro lì) inizia ad aleggiare sul Monumental di Santiago, Martinez e Yañez del Colo-Colo chiudono un triangolo che taglia a metà la difesa del Boca. Ancor prima che Martinez possa battere a rete solo davanti al portiere, il Boca Juniors, lo staff, i tifosi a casa, hanno già tutti la mano alzata a chiamare il fuorigioco. Il guardalinee non batte ciglio, il goal è regolare. È l'inizio della corrida. In dieci minuti di ordinaria follia sudamericana succede quanto segue: in campo entra chiunque; i giocatori rilasciano interviste nel mezzo della partita; Tabarez aggredisce un uomo che risponde colpendolo al volto; le forze dell'ordine circondano il portiere e capitano del Boca, Navarro Montoya, mentre lancia il supporto di un microfono; giocatori argentini si avventano su persone non meglio identificate; Batistuta insegue un fotografo che lo respinge facendo roteare la sua macchina fotografica come se avesse in mano delle bolas; ancora Navarro Montoya, con i cani alle calcagna, si lancia su un malcapitato finito a suon di calci volanti, gomitate e pugni in testa da altri giocatori del Boca prima di uscire mestamente dall'inquadratura; Batistuta urla a qualcuno un inequivocabile «hijo de puta, hijo de puta!» per poi sferrare un calcio che finisce addosso a un carabiniere, il tutto mentre un insanguinato Tabarez cerca di trattenerlo per la maglia. La partita in qualche modo riprende ma dopo neanche un minuto un giocatore del Boca viene colpito da un oggetto. Dalla porta si vede un capellone che parte alla rincorsa, è il solito Navarro Montoya che con i pantaloni visibilmente lacerati dal morso di un cane, si precipita per protestare in faccia all'arbitro, prendere il pallone e scagliarlo in tribuna, guadagnandosi l'indiscusso titolo di idolo della serata. Se la caverà con un cartellino giallo. Quando si dice arbitraggio all'inglese...
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Immaginate dieci minuti tutti così... |
La serata si conclude con i cileni
festanti che bruciano bandiere argentine e aggrediscono i tifosi
ospiti mentre squadra e staff del Boca vengono portati in
commissariato. A pagare il conto più salato è proprio Tabarez
che viene arrestato e portato in cella insieme a un suo giocatore.
Anni dopo Alfredo
Graciani spiegherà come tutto sia nato da un
uomo proveniente dalla panchina del Colo-Colo che avrebbe sbattuto a
terra un giocatore del Boca mentre si affrettava a rimettere la palla
al centro. Anche Carlos
Navarro Montoya, l'assoluto protagonista di
quella sera, conferma che la causa scatenante non fu tanto il goal
subito, quanto le continue provocazioni dei giornalisti che ad ogni
goal entravano a centinaia sul terreno di gioco insultando i
giocatori argentini; ed è proprio Patricio
Yañez,
che con il Colo-Colo vincerà quella Libertadores, a riconoscere che
se la stessa cosa fosse successa ai giorni nostri, il Monumental
sarebbe rimasto chiuso per molto, molto tempo.
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Rappresentazione allegorica della mattanza di Santiago. Olio su tela, 1991. |
Tabarez non diventa presidente, ma quasi
Archiviata la notte al gabbio, Tabarez
può concentrarsi solo sul campionato, dove la sua squadra avanza a
grandi passi verso un successo annunciato. Il 23 giugno 1991, al
Viejo
Gasometro (quello Nuevo
non era stato ancora costruito) San Lorenzo e Boca Juniors sono fermi
sull'1-1. Sono i minuti finali e il Boca sta per battere una
punizione. Il telecronista si chiede se quella sarà l'ultima partita
in gialloblu di Diego Latorre, che in pratica è già della
Fiorentina. Non presta la minima attenzione invece a Batistuta, che è
lì di fianco e sta per sparare il pallone in curva. La partita si
chiude così, con il Boca che torna campione d'Argentina dopo dieci
anni e El Maestro che non è Presidente della Repubblica, ma
quasi.
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Carlos Navarro Montoya e il capitano Juan Simon con prole. |
Una prima stagione da incorniciare
quella di Tabarez, macchiata però sul più bello dal beffardo
regolamento del campionato argentino che per la stagione 1990/91
prevede una finalissima tra le vincitrici del Torneo Apertura e
Clausura. La sera dell'8 luglio, mentre El Maestro si
arrovella su quale formazione mandare in campo per ribaltare l'1-0
subito all'andata contro il Newell's Old Boys del Loco Bielsa,
Batistuta si trova a 1400 km di distanza, a Santiago del Cile, dove
segna una doppietta contro il Venezuela nella partita di esordio
della Coppa America. Privo di Bati e Latorre, Tabarez è costretto a
improvvisare un attacco inedito formato da due giocatori acquistati
per l'occasione. L'ex Universidad Católica
Gerardo Reinoso e il brasiliano Gaucho arrivano infatti a Buenos
Aires pochi giorni prima dello spareggio con il Newell's al solo
scopo di rimpiazzare la coppia titolare impegnata con la Nazionale.
Una responsabilità non da poco per i due attaccanti in affitto che,
malgrado le poche ore trascorse alla Bombonera, sono ricordati con
affetto dalla tifoseria. Reinoso pareggerà addirittura il goal
dell'andata portando i suoi ai rigori che alla fine però premieranno
il Newell's, riconosciuto ufficialmente quale unico vincitore di quel
campionato.
La conferma
L'estate del Maestro passa tra la soddisfazione per il Clausura vinto e le inquietudini per un futuro senza Latorre. L'erede designato di Diego è da tempo promesso alla Fiorentina di Cecchi Gori che, dopo la partenza di Baggio, vuole regalare alla Curva Fiesole un nuovo numero 10 da amare. Anche Bati entra nell'affare ma è solo un comprimario. Per lui Cecchi Gori prevede un altro anno al Boca, il vero colpo è Latorre, o così dovrebbe essere. Nelle notti insonni passate davanti alla TV a guardare la Coppa America però si insinua nel presidente viola l'atroce dubbio di aver sbagliato tutto. Latorre non brilla, Batistuta trascina l'Argentina alla vittoria finale e la sua quotazione aumenta ogni giorno che passa. Indifferente ai 7 miliardi già sborsati, l'allenatore della Fiorentina Lazaroni preannuncia che Latorre partirà dalla panchina, la campagna abbonamenti langue e l'ambiente si sta abbacchiando. Parte il contrordine: Batistuta deve arrivare subito, Latorre può attendere, mentre a Buenos Aires si rischia la sommossa. Per non scontentare i tifosi Cecchi Gori cede ai ricatti del Boca e del procuratore Settimio Aloisio che oltre ai 12 miliardi per Batistuta, inserisce nel conto un sovrapprezzo di 500.000 dollari per il cartellino di Latorre, 400.000 dollari per il suo ingaggio e 2 miliardi e mezzo per l'acquisto di Antonio Mohamed come risarcimento per la partenza anticipata di Bati.
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Mohamed, Bati e Latorre. Cecchi Gori se li sognava anche con la Marini nel letto. |
Come è andata a finire da questa parte dell'oceano lo sappiamo bene, proprio quest'anno il vice-Renzi Nardella ha consegnato le chiavi della città di Firenze a Batistuta che in quell'estate di 25 anni fa lascia il Boca contro il parere di Tabarez. «Attenti. È difficile trovare un altro Batistuta», sono le parole con cui El Maestro timidamente tenta di opporsi alle leggi del mercato e allo strapotere dei club italiani, consapevole che Mohamed, a Bati, avrebbe potuto al massimo pulirgli le scarpe. Come spesso accade in Sudamerica, Tabarez si ritrova con una rosa uscita sfigurata dalla sessione estiva di calciomercato. Con la partenza di Graciani due terzi dell'attacco se ne sono andati, lasciando al deluso Latorre, che sperava di cominciare subito la sua avventura europea, il compito di segnare e far segnare la possente punta paraguayana Roberto Cabañas. A completare il tridente arriva dal Peñarol Sergio Manteca Martinez, che Tabarez volle come attaccante di scorta a Italia 90 e che al Boca diventerà un idolo. Un altro raccomandato è Ruben Pereira, che dopo il buon Mondiale con l'Uruguay e 13 dimenticabili presenze con la Cremonese, cede al richiamo del Maestro e lo raggiunge alla Bombonera. Il quadro dei nuovi arrivi è poi completato dal rosso terzino Carlos MacAllister e da un altro scarto della Serie A, ancora troppo fine per una bestia esotica come Gustavo Neffa.
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Un saluto agli amici del River. |
L'ultima di campionato contro il San Martin de Tucuman è il giorno della festa della Bombonera che come da consuetudine fa sfoggio di chilometri di carta igienica e tonnellate di papelitos che cadono a pioggia sul circo equestre che va in scena dopo il goal di Claudio Benetti. Una storia simile a quella di Medero, un altro sconosciuto che nel momento più importante si guadagna il diritto di scalare l'alambrado dal quale aizzare la gioia rabbiosa della curva, che in quell'istante aggiunge l'ennesima icona al pantheon del culto xeneize. Di lì a poco la polizia entrerà in campo, ci saranno feriti tra gli stessi calciatori, la rete di protezione verrà divelta e cadrà addosso alla porta... sì, gli argentini sanno decisamente come divertirsi. Lo deve aver imparato anche Tabarez che, se nella prima stagione fa breccia nel cuore dei tifosi del Boca, nella seconda entra definitivamente nella storia del club, che si arricchisce ulteriormente con il
successo continentale in Copa Master...
Momento, momento, momento... che vi lascio con questo atroce dubbio? Che cosa ca**o è la Copa Master, si chiederanno i temerari che hanno resistito fino a questo punto. Ecco, si tratta dell'ennesima elucubrazione della CONMEBOL che a cavallo degli anni Ottanta e Novanta pensa bene di mettere di fronte le squadre vincitrici delle ultime quattro edizioni della Supercopa Sudamericana, ovvero un torneo che riuniva a sua volta le squadre che avevano vinto almeno una volta la Libertadores. Un particolare di dubbio interesse perfino per questo blog ma che non fa altro che aggiungere un altro po' di nostalgia alla storia di Oscar Washington Tabarez.
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Quando esci per una serata tranquilla ma poi il Boca vince il campionato. |
Momento, momento, momento... che vi lascio con questo atroce dubbio? Che cosa ca**o è la Copa Master, si chiederanno i temerari che hanno resistito fino a questo punto. Ecco, si tratta dell'ennesima elucubrazione della CONMEBOL che a cavallo degli anni Ottanta e Novanta pensa bene di mettere di fronte le squadre vincitrici delle ultime quattro edizioni della Supercopa Sudamericana, ovvero un torneo che riuniva a sua volta le squadre che avevano vinto almeno una volta la Libertadores. Un particolare di dubbio interesse perfino per questo blog ma che non fa altro che aggiungere un altro po' di nostalgia alla storia di Oscar Washington Tabarez.
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