domenica 15 maggio 2016

Danke Miro

Stasera Miroslav Klose saluterà il suo pubblico per l'ultima volta e la Serie A perderà un altro pezzo. Un omaggio all'unico campione del mondo che il nostro campionato poteva vantare.


La prima volta che sentii parlare di lui ero in vacanza. Era l’estate 2001 e il caso volle che per ingannare gli interminabili momenti che trascorrevano tra la colazione e l'ingresso nel fetido mare della Riviera, decisi di comprarmi qualcosa da leggere. “Gazza” e Corriere non facevano per i miei gusti ricercati, volevo qualcosa di più esotico, così la mia scelta cadde sulla rivista Goals, l’ormai defunto spin-off internazionale di Calcio 2000. Qui appresi dell’esistenza di Miroslav Klose.

Giocava nel Kaiserslautern e veniva presentato come il futuro di una Germania che all’alba del nuovo millennio si presentava ridotta in macerie. Essendo polacco era anche l’antesignano della nuova infornata di calciatori tedeschi fatta di naturalizzati e seconde generazioni. L’anno dopo arrivarono i Mondiali in Giappone e Corea, la tripletta nell’8-0 all’Arabia Saudita, le capriole e il titolo di capocannoniere. Il mondo si accorse di lui.

Era un gran professionista, segnava un casino, prima o poi la grande occasione sarebbe arrivata. Nel frattempo però invecchiava al Werder Brema. L’occasione arrivò a 30 anni e, come per la maggior parte dei giocatori tedeschi, aveva le sembianze di Uli Hoeness che ti invita a venire a giocare nel Bayern. Finalmente Miro può alzare le coppe che ha sempre visto alzare agli altri.

La carta di identità però parla chiaro, un paio di stagioni da protagonista e poi in panca a guardare i giovani prendersi ciò per cui lui aveva sudato in anni di gavetta. Un battito di ciglia ed è già ora di pensare alla pensione: America, Qatar… no Lazio. Ai grattacieli e ai petrodollari Miro preferisce Formello, invece che strappare un contratto ai limiti della moralità a un magnate del New Jersey o a uno sceicco arabo, Miro cede alle avances di Claudio Lotito.

A 33 anni passa dal Bayern alla Lazio di Lotito, in Italia, nel 2011. Le cose sono due: o gli fa schifo la vita o è Miro che ama troppo il calcio per giocare nell’Ahmed Bin Ali Stadium di Doha o nello Sheikh Khalifa Stadium di Al Ain, nell’Emirato di Abu Dhabi, davanti a un pubblico formato essenzialmente da gestori di fondi di investimento. Io propendo per la seconda: la verità è che a Miro piace ancora il vero calcio, a lui piace troppo cenare leggero, ama andare a letto alle 10 di sera, lasciando a metà quell’episodio di Squadra Speciale Cobra 11 che stava guardando, prova un gusto indescrivibile a presentarsi alle 8:30 al centro di allenamento a bordo di una monovolume poco appariscente e gettare il peso dei sensi di colpa su quei ragazzini arroganti che con una Ferrari California sotto al culo giocano a fare gli arrivati.

Così a 30 e passa anni, quando altri al suo posto cominciano pensare a quale sia il ferro migliore per mandare una pallina in buca da 60 metri, Miro si rimette a sudare, a sostenere carichi pesanti a fine luglio per presentarsi in forma al preliminare di Europa League contro i macedoni del Rabotnicki. E la cosa lo fa godere tantissimo.

Da lì saranno cinque stagioni indimenticabili per lui e per i suoi nuovi tifosi. Ci saranno alti, vedi la Coppa Italia all’Olimpico e bassi, vedi l’ultima stagione. In ogni caso sono emozioni che difficilmente avrebbe potuto trovare sulle spiagge di Miami, ricordi che continueranno a vivere nei bar e nei vicoli romani, come quella volta che ne mise cinque al Bologna, 27 anni dopo l’ultima cinquina in Serie A. Non male per uno che le soddisfazioni più grandi se le è tolte dopo i 30 anni, uno che fino a 22 anni giocava tra i dilettanti. 

La maglia celebrativa con cui la Lazio saluterà il suo Miro.
Né troppo tecnico, né eccessivamente potente, Miro è la rappresentazione in scala 1:1 della mediocrità. Serietà e impegno però l'hanno portato a raggiungere e superare tanti ragazzi più giovani e dotati di lui che respiravano già le serate europee quiando lui affinava il suo senso del goal su anonimi campi della provincia renana. Sarà ricordato come il miglior marcatore nella storia dei Mondiali, l'erede di Gerd Müller, quello che l’altro giorno ha scritto il suo nome nella Hall of Fame FIFA e che nonostante tutto ha scelto di finire la carriera in un paese dove allo stadio si entra dai tornelli e dove si gioca a porte chiuse minimo una volta all’anno. L’unico campione del mondo a scegliere la Serie A.

Danke Miro.

Etichette: , , , ,

0 Commenti:

Posta un commento

Iscriviti a Commenti sul post [Atom]

<< Home page