Danke Miro
La prima volta che sentii parlare di lui ero in vacanza. Era l’estate
2001 e il caso volle che per ingannare gli interminabili momenti che
trascorrevano tra la colazione e l'ingresso nel fetido mare della Riviera, decisi di comprarmi qualcosa
da leggere. “Gazza” e Corriere non facevano per i miei gusti ricercati, volevo qualcosa di
più esotico, così la mia scelta cadde sulla rivista Goals, l’ormai
defunto spin-off internazionale di Calcio 2000. Qui appresi
dell’esistenza di Miroslav Klose.
Giocava nel Kaiserslautern e
veniva presentato come il futuro di una Germania che all’alba del nuovo
millennio si presentava ridotta in macerie. Essendo polacco era anche
l’antesignano della nuova infornata di calciatori tedeschi fatta di
naturalizzati e seconde generazioni. L’anno dopo arrivarono i Mondiali
in Giappone e Corea, la tripletta nell’8-0 all’Arabia Saudita, le capriole e il titolo di capocannoniere. Il mondo si accorse di lui.
Era
un gran professionista, segnava un casino, prima o poi la grande
occasione sarebbe arrivata. Nel frattempo però invecchiava al Werder
Brema. L’occasione arrivò a 30 anni e, come per la maggior parte dei
giocatori tedeschi, aveva le sembianze di Uli Hoeness che ti invita a
venire a giocare nel Bayern. Finalmente Miro può alzare le coppe che ha
sempre visto alzare agli altri.
La carta di identità però
parla chiaro, un paio di stagioni da protagonista e poi in panca a
guardare i giovani prendersi ciò per cui lui aveva sudato in anni di
gavetta. Un battito di ciglia ed è già ora di pensare alla pensione:
America, Qatar… no Lazio. Ai grattacieli e ai petrodollari Miro
preferisce Formello, invece che strappare un contratto ai limiti della
moralità a un magnate del New Jersey o a uno sceicco arabo, Miro cede
alle avances di Claudio Lotito.
A 33 anni passa dal Bayern
alla Lazio di Lotito, in Italia, nel 2011. Le cose sono due: o gli fa
schifo la vita o è Miro che ama troppo il calcio per giocare nell’Ahmed
Bin Ali Stadium di Doha o nello Sheikh Khalifa Stadium di Al Ain,
nell’Emirato di Abu Dhabi, davanti a un pubblico formato essenzialmente
da gestori di fondi di investimento. Io propendo per la
seconda: la verità è che a Miro piace ancora il vero calcio, a lui piace
troppo cenare leggero, ama andare a letto alle 10 di sera, lasciando a
metà quell’episodio di Squadra Speciale Cobra 11 che stava guardando,
prova un gusto indescrivibile a presentarsi alle 8:30 al centro
di allenamento a bordo di una monovolume poco appariscente e gettare il
peso dei sensi di colpa su quei ragazzini arroganti che con una Ferrari
California sotto al culo giocano a fare gli arrivati.
Così a 30 e
passa anni, quando altri al suo posto cominciano pensare a quale sia il
ferro migliore per mandare una pallina in buca da 60 metri, Miro si
rimette a sudare, a sostenere carichi pesanti a fine luglio per
presentarsi in forma al preliminare di Europa League contro i macedoni
del Rabotnicki. E la cosa lo fa godere tantissimo.
Da lì
saranno cinque stagioni indimenticabili per lui e per i suoi nuovi
tifosi. Ci saranno alti, vedi la Coppa Italia all’Olimpico e bassi, vedi
l’ultima stagione. In ogni caso sono emozioni che difficilmente avrebbe
potuto trovare sulle spiagge di Miami, ricordi che continueranno a
vivere nei bar e nei vicoli romani, come quella volta che ne mise cinque al Bologna,
27 anni dopo l’ultima cinquina in Serie A. Non male per uno
che le soddisfazioni più grandi se le è tolte dopo i 30 anni, uno che
fino a 22 anni giocava tra i dilettanti.
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La maglia celebrativa con cui la Lazio saluterà il suo Miro. |
Danke Miro.
Etichette: Germania, Lazio, Miroslav Klose, Personaggi, Serie A
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