martedì 1 marzo 2016

Avere trent'anni

Non piangete per me, ho già trent'anni.
Oh, sarà l'età che avanza, sarà che con questo blog tento disperatamente di trattenere tra le mani i granelli di polvere di questa perfida clessidra, sarà "sto buco dell'azoto", ma a me gli ultimi anni sembrano essere passati a velocità doppia rispetto a quelli precedenti. Non ho fatto in tempo a cancellare dal telefonino la suoneria "Materazzi ha fatto gol" che buona parte dei nostri campioni del mondo hanno appeso le scarpe al chiodo, mentre i più giovani tra loro hanno già scollinato la fatidica soglia dei 30. 

Nel calcio come nella vita, i 30 anni hanno sempre rappresentanto un check-point, un traguardo al di là del quale qualcosa cambia nel modo in cui gli altri ci vedono e nel modo in cui noi vediamo noi stessi. A 30 anni un ragazzo smette di uscire tutte le sere, smette di comprare birre a buon mercato dal "paki" (che poi è quasi sempre un "bangla") sotto casa, smette di fare le 6 di mattina seduto per terra in piazza, in attesa che i mezzi del servizio di igiene urbana lavino le strade e spazzino i vetri delle bottiglie di birra a buon mercato comprate dal "paki" (che poi è quasi sempre un "bangla") sotto casa qualche ora prima. A 30 anni smette, o dovrebbe smettere. Invece di vivere come se l'università non fosse mai finita dovrebbe avere, o almeno mostrare, una certa maturità. Via "kefieh" e pantaloni larghi, dentro camicie e cappottoni lunghi, i profili Facebook relegano i link balordi e demenziali alle chat private e le bacheche si riempiono di articoli di Internazionale e foto in posa professionale che sembrano voler dire: ehi tu, hai 30 anni. Hai finito di cazzeggiare?!

Così a 30 anni un calciatore smette di essere giovane e diventa automaticamente, indiscutibilmente, vecchio. Sì, dal giorno alla notte. Smette di essere la promessa che è stato a inizio carriera, smette di dover maturare in attesa di esprimere il suo reale potenziale e comincia la sua parabola discendente. Cambia il modo in cui compagni e dirigenti cominciano a guardarlo. Capitano, uomo-spogliatoio, 12° capace di cambiare la partita in corso, queste sono le caselle entro le quali a 30 anni devi saperti inserire, costantemente a caccia di conferme per spuntare quell'ultimo contratto nel calcio che conta, prima, per i più fortunati, dell'esilio dorato in qualche campionato acerbo ma con tanti soldi da spendere. Per tutti gli altri invece c'è l'anonimato delle serie inferiori, l'oblio di un futuro da allenatore delle giovanili, al massimo cinque secondi di una nuova ed effimera notorietà, il tempo di un: ma dai, adesso fa il commentatore della Lega Pro su Rai Sport... sticazzi, fammi vedere cosa fanno su DMAX.

Questo è quello che è accaduto e continuerà ad accadere. Sta accadendo anche in questo momento, centinaia di migliaia di ex giovani di tutte le categorie sociali stanno compiendo 30 anni dicendo addio alle ultime possibilità di assunzione per qualsivoglia posto di lavoro e migliaia di calciatori, famosi e non, stanno ripensando alle loro carriere, a quello che hanno dimostrato e a quello che hanno buttato, consapevoli che anche per loro il tempo è passato troppo in fretta.

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