Perché Italia 90, pur non piacendo a tutti, rimarrà sempre un Mondiale speciale
[Come apparivano le nostre città durante Italia 90? Che aria si
respirava quelle’estate? L’atmosfera era veramente così speciale come si
racconta? E soprattutto, le notti erano davvero magiche? Tutte domande
che mi sono sempre chiesto e alle quali, per ragioni anagrafiche, non ho
mai saputo rispondere. A sanare i miei dubbi però c’è la giornalista Amy
Lawrence che, oltre alla consueta dose di nostalgia di cui Ángulo Inverso è sempre alla ricerca,
in questo articolo del Guardian ci restituisce anche lo sguardo di una
ragazza straniera piombata nel bel mezzo di quell'"estate italiana" di
25 anni fa. La sua prospettiva inoltre è quello di un movimento calcistico,
quello inglese, all'epoca alle prese con un momento particolarmente
difficile e che, come spiegato bene nel documentario Gazza's Tears, proprio in Italia getterà le basi della sua rinascita targata Premier League.]
A 25 anni dalle lacrime di Gazza, da Pavarotti, Totò Schillaci, World in Motion e dalla gioia del Camerun, la memoria di un torneo capace di definire un'epoca e che ci ricorda di quando anche la Coppa del Mondo era qualcosa di più piccolo e più semplice.
Per gli amanti del calcio di una certa età, quel brano non è soltanto facile da individuare in un secondo ma porta anche con sé la capacità di trasportarti indietro nel tempo, un quarto di secolo in un battito di cuore. Ancor prima che Pavarotti gonfi i suoi polmoni, come la cadenzata melodia del coro del Nessun Dorma inizia a crescere, ci troviamo scaraventati, attraverso un viaggio musical-temporale, nel bel mezzo di Italia 90.
Alcuni critici di oggi faticano a trovare qualcosa di particolare in quella Coppa del Mondo. Per i puristi mancava del dovuto sfarzo, le difese erano arcigne e la finale sapeva più di una scorbutica resa dei conti. Valutare Italia 90 solo in base a questi parametri significa però non vedere tutte le virtù che le hanno dato significato. Sarebbe esagerato dire che tutto quello che ho imparato della vita l'ho imparato da quei Mondiali, ma se i ragazzi che hanno vissuto Italia 90 non ammettessero il carattere trasformativo di quel mese, potrei considerare l'ipotesi di mangiare il mio cappellino col Ciao. (Quella comunque era veramente una mascot stilosa, un omino stilizzato con i colori della bandiera e un pallone come testa).
Potrebbe non essere stato neanche un Mondiale di grandi partite, ma fu una Mondiale di storie memorabili ed emozioni epiche: Roger Milla scosse le sue anche trentottenni sulla bandierina, per se stesso, per l'Africa, per tutti i vecchi che non smettono di credere all'incredibile. Totò Schillaci, malconcio per i colpi subiti, volò via con i suoi occhi spiritati, quasi sul punto di uscire dalle orbite, e divenne un improbabile eroe. Frank Rijkaard e Rudi Völler, intreccati in un fandango a base di sputi e cartellini rossi. David O'Leary che mise in ghiaccio le gambe prima di segnare un rigore leggendario. Gazza, come tutti sanno, pianse, ma la scena fu ancora più profonda con lo sguardo che Gary Lineker lanciò a Bobby Robson. L'Italia pianse, sconfitta in semifinale dall'Argentina a Napoli, città di adozione di Maradona.
In finale, parafrasando la famosa frase di Lineker, 22 uomini diedero la caccia a un pallone (divennero 20 dopo due cartellini rossi) e alla fine vinsero i tedeschi. Franz Beckenbauer entrò nello speciale club dei vincitori sia in veste di calciatore che allenatore.
Ma c'è un quadro più ampio, che va oltre le storie ricamate sul terreno di gioco. Italia 90 fu il ponte tra i Mondiali vecchio stile e quelli dei giorni nostri. Quattro anni più tardi la FIFA iniziò ad allungare i suoi tentacoli, portando lo spettacolo in territori dove il calcio era meno radicato. Dal momento della partenza dallo Stadio Olimpico di Roma, con le mani di Lothar Matthäus attorno al trofeo, tre dei successivi sei Mondiali si sono tenuti lontano da sedi tradizionali: USA 94, Giappone/Corea 2002, Sudafrica 2010 (alternati a tre storici paesi calcistici come Francia, Germania e Brasile). Se teniamo conto delle prossime competizioni, previste in Russia nel 2018 e in Qatar nel 2022, questa tendenza verso i mercati in via di sviluppo avrà sempre più peso.
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Il CT inglese Bobby Robson posa con il celebre Ciao. |
Italia 90 ebbe luogo in un'epoca in cui assistere a una Coppa del Mondo non era un'idea così folle e impegnativa per un tifoso di calcio. Non c'era nozione di spropositati rialzi dei prezzi di hotel e ristoranti per spennare i visitatori. Cercando bene, i biglietti si attestavano ancora sui valori nominali nella maggior parte delle città, questo almeno durante la fase a gironi. Per le strade circolavano nomi di negozi e bar che vendevano i biglietti fino alla vigilia della partita. Non c'erano fan parks, tutto era improvvisato, nel bene e nel male. L'idea di un gruppo di scommettitori che con dei cappelli da baseball marcia al seguito di una bella ragazza che alza un cartello con il nome di una multinazionale in un villaggio di tende non sarebbe andata molto lontano. E poi quel pubblico non sarebbe stato comunque molto interessato a una partita di calcio.
Una confessione: conservo ancora per Italia 90 lo stesso amore cieco che mi colpì allora. Avevo 18 anni e sarebbe stato più che eccitante per chiunque l'avesse vissuta come prima esperienza ad un Mondiale. Fortunatamente per me, non solo ero nel momento giusto della vita per pianificare il mio mese in base alle partite, ero anche grande abbastanza e, dopo gli esami, avevo sufficiente tempo libero per partire. La decisione fu spontanea, presa nel mezzo dell'eccitazione della gara di apertura che vidi in televisione con una coppia di amici, Nick e Paul.
Camerun-Argentina fu soprannomninata il "Miracolo di Milano". Significativo di com'erano visti i giocatori africani fu il modo in cui il commentatore della BBC li descrisse, un modo il cui paternalismo, che oggi appare evidente, allora non era intenzionale: «happy go lucky fellows». Quei ragazzi furono abbastanza bravi non solo da competere con l'Argentina campione in carica, ma da batterla.
Dopo il fischio finale, che sancì uno dei risultati più sorprendenti di tutti i Mondiali, ci guardammo con lo stesso pensiero nello stesso momento: «andiamo!»
Dopo una breve consultazione del programma per vedere chi giocava dove e quale sarebbe stato il miglior posto dove andare, armati di un centinaio di sterline e di un sacco a pelo, le destinazioni designate furono Genova e Torino. Un gruppo fantastico, con Brasile, Svezia, Scozia e Costarica; fu una grande attrazione, così come il fatto di trovarsi a distanza dall'Inghilterra, con base in Sardegna. Volevamo goderci la Coppa del Mondo come tifosi pacifici, senza che la cattiva reputazione [degli hooligans ndr] seguisse ogni nostro passo.
Con quell'ombra che ogni inglese amante del calcio si trova in imbarazzo a descrivere, c'è un altro motivo per cui Italia 90 ha significato così tanto. Infatti forse questa è parte della spiegazione per cui questo Mondiale in Inghilterra è considerato così importante rispetto a quanto è avvenuto negli altri paesi.
Dio solo sa quanto il calcio inglese avesse bisogno di un torneo internazionale per sanare le sue ferite, per riabilitare la brutta reputazione che si era creato nel resto d'Europa, con le tragedie dell'Heysel e di Hillsborough, che allora non godevano ancora del lusso della verità emersa negli ultimi anni, così vicine alla nostra mente e al nostro cuore.
Pete Davies, l'autore del magnifico resoconto All played out, ha riassunto l'atmosfera del tempo in una recente intervista su Esquire Magazine. «Il modo in cui è oggi il gioco deriva in gran parte dalla trasformazione portata da Italia 90. Prima di Italia 90 il calcio in Inghilterra era percepito come qualcosa di squallido, dominato dagli hooligans, un imbarazzante concentrato di violenza. La nostra squadra faceva schifo, i nostri tifosi erano peggio e non si parlava di queste cose a cena.»
Ci dirigemmo in treno e traghetto a Genova, lontano da dove ci si sarebbe aspettata la folla scatenata. Ci fermammo a Torino, sede della partita d'esordio del Brasile contro la Svezia. Poi a Genova, per assistere alla sorpresa della Costarica sulla Scozia, prima che la squadra di Andy Roxburgh si prendesse la rivincita eliminando la Svezia.
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La giornalista Amy Lawrence con un tifoso svedese. |
Non c'erano abbastanza alloggi per i numerosi viandanti che scelsero Genova come campo base. Le autorità cittadine decisero che la cosa più sensata da fare era quella di tenere raggruppati i tifosi, così fummo invitati a dormire alla stazione ferroviaria. La routine giornaliera era grossomodo questa: alle 6 del mattino, prima che i pendolari avessero la sfortuna di attraversare una serie di corpi comatosi in direzione del luogo di lavoro, la polizia, gentilmente, ci svegliava dal nostro torpore, raccoglievamo i nostri sacchi a pelo, li lasciavamo nel deposito bagagli e utilizzavamo le docce della stazione per lavarci. Chi non trovava posto in stazione finiva a lavarsi e a rasarsi nella fontana al centro della bellissima Piazza De Ferrari.
A riempire le giornate c'erano continue partitelle improvvisate in piazza (c'era un ragazzino del posto che passava tutto il tempo a impersonare Roberto Donadoni), la ricerca dei biglietti, le partite viste nei café, le strategie per aggirare i divieti sull'alcol, l'ospitalità dei genovesi che portavano fuori i loro bambini per fotografarli insieme ai colorati visitatori e invitavano i tifosi a casa propria offrendo enormi piatti di pasta.
Era un perfetto esempio di uno slogan che sarà più tardi "bastardizzato" dalla FIFA, questa era la "famglia del calcio", dove chiunque, da qualunque posto, era invitato per una grande festa. Le sere diventavano più rumorose, con le tre nazionalità maggiormente presenti in città, gli svedesi, gli scozzesi e gli italiani, che si univano gli uni alle canzoni degli altri.
Il giorno di Scozia-Svezia si sparse la voce che un gruppo di suonatori di cornamusa, in abito tradizionale nonostante il caldo soffocante, avrebbe marciato per la città fino allo Stadio Luigi Ferraris. Migliaia di persone in kilt e con elmi vichinghi si mischiarono seguendo la musica e ballando verso lo stadio.
Tornando all'Inghilterra, il cammino della squadra e l'assenza dei problemi di sicurezza tanto temuti furono una grossa parte del cambiamento radicale che il nostro calcio stava attraversando dopo l'Heysel e Hillsborough. Quelli che erano soliti deridere il gioco, abituati a vedere solo bruttezza, si trovarono inaspettatamente spiazzati. Gascoigne, quel matto che giocava in modo così spontaneo e che mostrava così apertamente le proprie emozioni catturando l'immaginazione del pubblico, presentò un'immagine molto diversa del calcio inglese.
Nelle stagioni seguenti, con gli stadi riadattati per rispondere ai requisiti che imponevano solo posti a sedere, il libro Febbre a novanta di Nick Hornby fu espressione della condizione dei tifosi, le restrizioni sui giocatori stranieri furono allentate aprendo le porte ai talenti di tutto il mondo, con la nuova denominazione "Premier League" e l'arrivo di Sky il calcio divenne più affascinante, più accogliente.
La finale per il terzo posto, giocata da due squadre deluse come Italia e Inghilterra, finì in modo edificante. Dopo che le medaglie furono consegnate, i giocatori posarono fianco a fianco, tenendo in mano dei mazzi di fiori e condividendo l'inchino finale. Fu un momento importante, la costruzione di un ponte di amicizia e rispetto solo cinque anni dopo l'incubo dell'Heysel.
Per tutto quello che Italia 90 ha significato per il calcio inglese, per gli italiani, organizzatori senza lieto fine, per i camerunensi, che speravano di aver compiuto un passo decisivo per tutto il calcio africano, ci sono anche altri paesi per i quali questa Coppa del Mondo è ancora importante. Quattro paesi non sarebbero stati più gli stessi. Fu l'ultimo Mondiale a cui parteicpò la Germania Occidentale (la riunificazione avvenne qualche mese dopo in quello stesso anno). La Jugoslavia iniziò a frammentarsi nel 1991. La Cecoslovacchia si divise nel 1992. Questo torneo fu l'ultima apparizione dell'Unione Sovietica, dato che ai successivi Europei il suo posto fu preso dalla CIS (Comunità degli Stati Indipendenti), che di fatto corrispondeva alla Russia.
Forse non fu il Mondiale più bello di sempre e molti brasiliani e olandesi non avranno dubbi, visto che la loro fama di esteti del calcio non ebbe modo di rivelarsi. Le statistiche non sono positive, il minor numero di goal a partita nella storia della competizione e il maggior numero di cartellini rossi fino a quel momento.
Tuttavia fu così importante. Se qualcuno ha da obiettare sulla salsa di Roberto Baggio nel mezzo della difesa della Cecoslovacchia o sul capolavoro di Dragan Stojkovic contro la Spagna, si ascolti World in motion dei New Order, che ammiri la reazione al goal di François Omam-Biyik nella partita di apertura insieme alla follia di Benjamin Massing che abbatte il galoppante Claudio Caniggia durante il "Miracolo di Milano", si legga All played out e coroni il tutto con Nessun Dorma.
Che lui stesso canti con immenso "gusto italiano": Vincerò! Vinceeeerò!
Di Amy Lawrence
Di Amy Lawrence
Etichette: Inghilterra, Italia, Mondiali, Nostalgia, Paul Gascoigne, Racconti, Ricordi, Traduzioni
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