Cosa resterà...
No dai, non fate finta di non aver capito. Dai che lo sapete. Pooo
popoppo popopo, lo sentite? Sì, è il 9 luglio 2016 e arriva un altro
pippone nostalgico di Angulo Inverso. A dire il vero sono rimasto un po’
sorpreso dall’indifferenza che i media sembrano aver riservato al
decennale della nostra ultima vittoria mondiale. Dal TG dell'ora di pranzo mi sarei aspettato
almeno una di quelle clip struggenti, con la musica in sottofondo sulle
immagini di Fabio Grosso incredulo contro la Germania, invece niente. Anche Ultimo Uomo, sempre tremendamente sul
pezzo, apre stamattina con un aggiornamento sulle qualificazioni
dell’Italia di Basket alle prossime Olimpiadi (per la cronaca: abbiamo
battuto il Messico e ci serve un’ultima vittoria con la Croazia… ahhh
#machenesanno di Toni Kukoc!). Comunque sia, la testata di Zidane a
Materazzi, Cannavaro sul piedistallo con la Coppa del Mondo, Fabio
Grosso, nato e morto nel giro di un’estate, «il cielo azzurro sopra Berlino», hanno tutti 10 anni tondi tondi.
Anche alla luce
delle paturnie che hanno accompagnato la sfortunata uscita dall’Europeo
ancora in corso in Francia, sale impellente una domanda: che cosa è
rimasto?
Niente verrebbe da dire, o un poco che a breve è
destinato a sparire, consegnato a video a bassa risoluzione e ai ricordi
travisati di chi oggi crede che sia stato Materazzi a rifilare la testata a Zidane.
Sembra incredibile, ma comincia a proliferare una generazione che non
serba alcun ricordo di quell’estate. Una manciata d’anni e ci troveremo a
che fare con persone per cui il nome di Iaquinta susciterà più o meno
le stesse sensazioni che quelli della mia generazione, quelli nati
nell’Italia da bere di fine anni Ottanta, hanno provato nel sapere che
Franco Selvaggi fu campione del mondo nel 1982. Indifferenza, un’alzata
di sopracciglio, un “e stic***i non ce lo metti?!” 2006 is the new 1982 o
lo sarà a breve e quando quel giorno arriverà potremo incolpare solo
noi stessi per il fatto di essere troppo vecchi per capire che Icardi è
il più grande centravanti che il calcio abbia mai conosciuto, che Pogba è
il re dello stile e che nessuno prima di lui seppe portare bizzarre
capigliature sui campi di calcio, che Donnarumma è il portiere più forte
della Terra e che ricorda vagamente quel quarantenne con il nome tronco. È così, il 2006
sta morendo e a dieci anni di distanza quasi tutti i suoi protagonisti
hanno già appeso le scarpe al chiodo,
giocatori che per abitudine considero ancora talenti in divenire sono da
tempo sul viale del tramonto senza che me ne sia accorto. De Rossi, il
più
giovane della spedizione di Marcello Lippi, oggi viene tollerato in una società di cui una decina di anni fa sembrava poter diventare pontefice e il suo ruolo nel centrocampo “azzurro” agli ultimi
Europei doveva essere più o meno quello del chewing gum che tiene
insieme le pareti di un edificio pericolante. Buffon, fenomeno più o
meno in tutto, non ultimo in fatto di longevità, piange in diretta TV le
lacrime di chi sa che quello calciato dal terzino tedesco Jonas Hector e che gli è appena passato sotto il braccio sinistro è probabilmente l’ultimo treno di una carriera agli sgoccioli.
Non sarà che
invece di quell’estate è rimasto tutto? Quel poco che c’è non è altro
che un raggio partito 10 anni luce fa da Berlino e che sta finendo solo
ora di illuminare la strada di questo Paese. Un raggio solare che era in ritardo già dieci anni fa, come le carriere dei
Cannavaro, dei Nesta, dei Del Piero, dei Totti, quella generazione nata
nella metà degli anni Settanta da cui ci saremmo aspettati molto di più e
che proprio quando il tempo sembrava scaduto riuscì ad acciuffare per i capelli il successo di una vita. Del 2006
rimane tutto, gli stessi problemi, le stesse polemiche, i vivai nei
quali dobbiamo ancora investire, gli stadi che dobbiamo ancora
ristrutturare, gli stranieri ancora da limitare, soluzione
plausibile forse solamente in un Paese arretrato come il nostro. Questo fu l’humus da cui scaturì l’estemporaneo successo
del 2006, il tutto condito con un bello "scandalo scommesse" dei nostri, e
questo è stato il terreno brullo da cui non si sa come è sbocciato il
bell’Europeo di quest’anno. Sono successi, se di successo si può parlare
per il quarto di finale perso con la Germania, tipicamente italiani, financo deleteri perché mascherano problemi e vizi che finiscono per diventare virtù. Belli perché inaspettati, frutto della comunanza che nasce
dall’emergenza e non dalla programmazione, irrazionali, impronosticabili. Sono successi dal valore emozionale altissimo, i soli capaci di
compattare per qualche giorno un Paese perennemente sull’orlo del
disastro. A quanto pare sono i soli successi di cui siamo capaci e sono
successi che non insegnano niente ma che lasciano un’infatuazione lunga
un’estate per un gruppo, per un uomo deciso e decisionista che dimostri
di saper condurre quella che a fine maggio sembra essere una bagnarola con evidenti problemi di tenuta dello scafo fino alla vittoria in Coppa America contro i catamarani neozelandesi.
Oggi, nel 2016, di quel 2006 c’è tutto e niente. Di certo
c’è che quando ci voltammo e ci lasciammo il 2006 alle spalle per la
prima volta, lui era lì, a portata di mano, un passato prossimo caldo e
rassicurante, come quella maturità sudata ai 40° di un’aula al terzo
piano, come la soddisfazione per quell’esame all’università andato bene,
come il bacio che non avevi il coraggio di dare ma che arrivò come una benedizione da quella moretta conosciuta
alla spiaggia libera perché «oh l’ombrellone ma sai quanto costa?!» Lo
avevamo lasciato lì, con l’ultimo pooo popoppo popopo ancora in gola e “Materazzi ha fatto gol”
nel cellulare, convinti che quando lo avremmo cercato lo avremmo
trovato lì dove l’avevamo lasciato, il 2006. Stamattina però ci siamo
svegliati, ci siamo voltati indietro e quello che abbiamo visto
non è quello che ci saremmo aspettati.
Più piccolo, i colori
un po’ meno accesi del HD a cui ci siamo ormai abituati, distante. Dopo
il goal di Giaccherini contro il Belgio, quando Chiellini esce vincitore
da una furibonda mischia nell’area della Spagna, ecco che il 2016
sembra colorarsi delle profanità che parenti e amici
pronunciavano dieci anni prima raggruppati davanti alla TV, del fresco
di una birra chiara sorseggiata a inizio luglio, dell’adrenalina del giorno prima
dell’esame. Ma non sono che momenti brevi, attimi di esaltazione
collettiva tenuti in vita artificialmente dai continui raffronti con il
passato: «vedo lo spirito del 2006 in questo gruppo», così come fino ad allora
si cercavano a tutti i costi similitudini con il 1982. Finita la partita
però, dopo l’esaltazione seguita dalla delusione, dopo i
singhiozzi che scandiscono le interviste di Barzagli e Buffon, ecco che i
contorni ingialliti e le orecchie agli angoli del poster di Cannavaro
che tenevamo nella cameretta compaiono più evidenti che mai, pronti a
ricordarci che il tempo trascorsco è tanto così. Perché il tempo è fatto così,
non ti accorgi quando passa e le ricorrenze, le date, gli anniversari
sono le pietre miliari che ci servono per capire a che punto siamo del
nostro percorso, e oggi quei paletti ci dicono che purtroppo il cielo non è più
azzurro sopra Berlino.
Etichette: Europei, Italia, Mondiali, Nostalgia, Ricordi, Tempo
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