domenica 28 maggio 2017

Il ragazzo di periferia

Storie di rivolte, bicchieri di kava e pallone. Dalla periferia della periferia al centro del mondo.


Come capitano, prima di ogni partita dico ai ragazzi che ci troviamo così lontani da casa che dobbiamo portare qualcosa indietro con noi.
Bong Kalo

Tra il 1773 e il 1774 il navigatore britannico James Cook, nel corso del suo secondo viaggio di esplorazione nel sud Pacifico, raggiunge la sperduta isola di Ambrym, propaggine settentrionale di un piccolo arcipleago vulcanico situato a diversi chilometri a nord della Nuova Zelanda che su suo suggerimento prenderà il nome di Nuove Ebridi. È  in questa terra ai confini del mondo che, nel pieno della corsa alla spartizione delle terre emerse che culminerà con la Prima Guerra Mondiale, Gran Bretagna e Francia danno vita all’unico esperimento di governo coloniale congiunto che la storia ricordi.
Francobollo del 1966 che celebra i 200 anni dal viaggio attorno al mondo di Louis Antoine de Bouganvilles.

Per più di settant’anni la storia di queste isole si perde nei mille rivoli del doppio sistema burocratico che le due potenze impongono a coloni ed indigeni. Nel condominio anglo-francese vigevano due sistemi giuridici paralleli, anzi tre, visto che una corte tradizionale era stata riconosciuta laddove il diritto consuetudinario locale poteva essere applicato. Un cittadino straniero al suo arrivo poteva scegliere a quale sistema sottostare, se al common law inglese o al civil law francese, salvo cambiare idea e creare una società secondo il sistema giuridico diverso da quello scelto per la propria persona fisica. A dirigere la baracca c’erano due figure simili a governatori, uno francese e uno inglese, chiamati “commissari residenti” che residenti non erano, visto che uno stava in Nuova Caledonia e uno alle Isole Salomone. C’erano due corpi di polizia, uno anglofono e uno francofono, c’era infine una Corte di Giustizia Congiunta composta da giudici inglesi e francesi, il cui presidente veniva nominato dal... dal re di di Spagna (!).

La più o meno fittizia autodeterminazione dei popoli che le due nuove superpotenze emerse dalla Seconda Guerra Mondiale e i costi di un possedimento che produceva perlopiù kava e copra, ovvero una pianta da cui si ricava una bevanda con effetti anestetici e cocco essiccato, a Londra e Parigi convincono le vecchie potenze europee a disfarsi di quel bizzarro esperimento posto alla periferia dei loro imperi, alla periferia della periferia.

Nel 1980 le Nuove Ebridi diventano Vanuatu, letteralmente la “casa” per tutti i niVanuatu, la popoloazione autoctona che fino a quel momento aveva vissuto da ospite in casa propria. Il 30 luglio è previsto il passaggio ufficiale delle consegne ma nel frattempo gruppuscoli etnici e linguistici sempre più frammentati travisano il reale senso che Margaret Thatcher e Valéry Giscard d’Estaign devono avere attribuito alle parole “autonomia” e “indipendenza”.

In quei giorni balza alle cronache un signore con una folta barba bianca che gli vale il soprannome di Moses, Mosè, come il biblico profeta che più di qualcuno deve vedere in lui quando invita i suoi sostenitori ad alzare archi, frecce, pietre e bastoni contro i padroni in procinto di andarsene. Il suo nome è Jimmy Stevens, vanta molteplici origini, tra cui un’ascendenza scozzese, e con il suo carisma riesce ad innestare su un mistico cargo cult locale un’insondabile mistura di nazionalismo e tradizionalismo che da una parte invoca il ritorno alla bucolica vita del villaggio e dall’altra invita a fermare il passaggio di consegne tra il governo anglo-francese e il neoeletto governo vanuatiano. Sono giorni strani in quella parte di mappamondo che non guardiamo mai. Gli inglesi vorrebbero intervenire con la Thatcher che da Plymouth invia 200 uomini della Royal Navy sull’isola di Espiritu Santo, dove Stevens nel frattempo ha occupato una vecchia base americana della Seconda Guerra Mondiale e, al prezzo di qualche jeep e frigorifero, si è assicurato una ventina di mogli e il titolo di presidente della sedicente Repubblica di Vemarana. I francesi, dal canto loro non vogliono un'azione di forza dei rivali sull’ex possedimento congiunto e sotto sotto parteggiano per Stevens. Come ottannt’anni prima a Fashoda, quando nel mezzo del nulla africano Gran Bretagna e Francia misurarono le rispettive forze gettando il mondo sull’orlo di una guerra mondiale, nel 1980 un’altra periferia fece da sfondo alla guerra di nervi tra le due principali potenze europee.

Jimmy Stevenes detto Mosè.

È indubbiamente una bella storia quella del profeta che con il suo fornitissimo harem si fa re e scaglia archi e frecce contro gli inglesi, ma andando a vedere un po’ più da vicino ci si accorge che purtroppo le cose non sono proprio così. C’erano ragioni più terrene per cui questo predicatore semianalfabeta riuscì a costruirsi un seguito che non voleva un governo anglofono in un Paese diviso su base linguistica. Ci doveva pur essere qualche interesse economico se i proprietari terrieri di origine francese e i libertariani americani della Phoenix Foundation finanziarono Stevens per creare un paradiso fiscale nel Pacifico.

Alla fine ci pensarono i soldati inviati dalla Papua Nuova Guinea ad accomodare le cose. Su richiesta di Padre Walter Lini, il pastore anglicano che fungeva da Primo Ministro di Vanuatu, l’esercito papuano sbarca sull'isola di Espiritu Santo dove viene accolto amichevolmente dalla popolazione, che in quei soldati riconosce i propri fratelli melanesiani. Bastano pochi giorni per sedare la rivolta che aveva coinvolto in particolare le isole periferiche del nord come Ambrym, ponendo così fine a quella che passò alla storia come la Guerra del Cocco.

Cartoline da Ambrym.

Ambrym è l’isola dove vent’anni fa un ragazzo incominciò la sua corsa dalla periferia al centro del mondo. Basta scorrere pochi nomi per trovarlo a quota tre reti nella classifica marcatori del Mondiale Under 20 attualmente in corso in Corea del Sud. Bong Kalo, questo il suo nome, nasce alla periferia della periferia, su un’isola tiranneggiata da due vulcani che hanno costretto più di una generazione a trasferirsi sulla più tranquilla Efate. Qui, per chi arriva da fuori, la destinazione obbligata è Port Vila, un centro urbano non molto più grande di Casalecchio di Reno ma con una flotta di yacht che ne costeggia il profilo affacciato sull’oceano. Port Vila è la capitale, è il centro, posto sull’isola centrale dell’arcipelago di Vanuatu. Nei suoi primi anni nella capitale il centro del mondo del piccolo Bong è il campetto del Wan Smol Bag Theatre, noto luogo ricreativo della città situato a nord, non lontano dall’aeroporto. È qui che il ragazzo prende confidenza con il pallone e in qualche modo inizia a coltivare l’ambizione che lo porterà alla Teouma Academy, una specie di Clairefontaine del Pacifico di cui la Federazione di Vanuatu va ben fiera. A 12 anni raggiunge il Tafea FC e da campetti che sono poco più che orti strappati alle coltivazioni di cocco passa allo Stadio Municipale, il cuore della capitale, che a ben guardare non è troppo dissimile anche lui da una piantagione di cocco.

Non si legge bene ma c'è scritto "Making history".
Al seguito del suo club comincia a viaggiare per il Pacifico, impegnato nell’OFC Champions League. A 18 anni arriva la Nazionale e qualche riflettore, complice il 46-0 che l’Under 23 di Vanuatu rifila ai pari età della Micronesia ai Giochi del Pacifico, bizzarro momento di gloria per un movimento calcistico che come in tutti i Paesi dell'Oceania subisce lo strapotere del rugby. Nonostante giochi già in pianta stabile nella Nazionale maggiore, il CT Gluscevic convoca Kalo per farne il perno della sua Under 20, alla prima partecipazione a un campionato del mondo. Come molti suoi compagni Kalo è uno studente, non è un calciatore professionista ma è l’unico ad aver maturato un minimo di esperienza internazionale. Sulle spalle porta il numero 10 ed è «orgoglioso di essere il capitano in questa Coppa del Mondo». Sabato scorso numerosi bicchieri di kava devono essere spuntati nei locali e nelle case di Port Vila al suo goal contro il Messico, il primo per Vanuatu in una competizione mondiale. Bicchieri che saranno diventati fiumi al secondo goal di Ronaldo Wilkins che ha tenuto il risultato sul 2-2 fino al 94′. 

Una settimana dopo il 3-2 contro la Germania ha dell'incredibile, con due goal di Kalo, di cui uno magistrale su punizione, che per qualche istante regalano a Vanuatu le luci della ribalta dopo 37 anni. Una breve headline, un trafiletto di cui scordarsi in fretta dopo aver sorriso immaginando palme e gonnelline di paglia, come ai tempi della Guerra del Cocco, ma che per un istante conduce un ragazzo di perfieria, partito dall’isola di Ambrym, al centro del mondo.

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