giovedì 7 dicembre 2017

La Coppa delle Coppe è morta, viva la Coppa delle Coppe

Il prezzo da pagare per l'indiscussa popolarità raggiunta dalla Champions League è stato la rottura dell'equilibrio e della complementarietà tra le diverse competizioni europee.  Un nuovo ordine è possibile? Ma soprattutto, c'è ancora posto per la Coppa delle Coppe nel XXI secolo?


C'è una reazione di immediata nostalgia per il valore e la bellezza che aveva la Coppa UEFA, perché fin quando i tornei continentali erano organizzati nella maniera tradizionale, cioè Coppa dei Campioni riservata esclusivamente alle vincitrici dei rispettivi campionati, poi Coppa UEFA con le squadre di immediato rincalzo e Coppa delle Coppe riservata alle squadre vincitrici della coppa nazionale, erano tre tornei di straordinario fascino.
Bruno Pizzul

...una reazione di immediata nostalgia. Ben detto Bruno, ma non solo quella, anzi. Una volta tanto infatti vorrei lasciare da parte piagnistei nostalgici e discorsi da vecchi del tipo: "che figata la Mitropa Cup... Nedo Sonetti gli piscia in testa a Jurgen Klopp!" Sconfessando il polveroso passatismo che anima per la maggior parte del tempo questo blog metto fin da subito in chiaro che non ho nulla, o quasi, in contrario nei confronti della piega presa dalle competizioni europee nel nuovo millennio. Le cose cambiano e non nutro particolari nostalgie nei confronti della Coppa dei Campioni a 16 squadre, per quanto affascinante essa fosse, men che meno per l'abominevole formula a doppio girone dei primi anni Duemila e neanche per la pura eliminazione diretta dell'era pre-Champions della quale non ho alcun ricordo. Un po' più pesante da digerire forse è l'insensatezza alla quale la UEFA ha progressivamente condannato l'Europa League, rimasta sola a lottare contro l'ipertrofia di una Champions che gli sponsor vorrebbero si giocasse tutti i giorni della settimana. Detto questo, raga, quanto ca**o era bella la Coppa delle Coppe?

Sì, lo ammetto, l'idea che un ventenne di oggi abbia potuto raggiungere la maggiore età senza trascorrere un solo giovedì sera in compagnia di Bruno Longhi mentre sullo schermo passa un Vicenza-Shakhtar Donetsk mi getta nel più tetro sgomento, ma non voglio ricorrere a patetici "#machenesanno" di sorta per avvalorare la mia tesi e cioè che la Coppa delle Coppe, oltre che bella, era, e forse potrebbe ancora essere, utile.

Il Vicenza in Coppa delle Coppe, la favola europea per eccellenza.

Deve essere stata una giornata anonima, come molte di quelle che si susseguono a Nyon, quella in cui negli uffici della UEFA il presidente Lennart Johansson e i suoi collaboratori decidono quello che sarà il destino del calcio europeo per i successivi vent'anni.

Lennart Johansson, il "boia di Nyon."
«Dunque signori, sapete tutti perché siamo riuniti qui. I grandi club vogliono la "superlega", gli sponsor vogliono che Barcellona e Real Madrid si sfidino sette volte a stagione, come fossimo in NBA e che tra il primo e secondo tempo ci siano quattro blocchi pubblicitari. Possiamo portare le squadre a 24, magari anche a 32. Direi di spalmare tutto su due giornate: noi vogliamo che Ivano, metalmeccanico di Locate Triulzi, che il mercoledì sera è solito guardare il Milan in coppa, invece che scopare sua moglie decida di passare anche il martedì sera mangiando la peperonata davanti a Real Madrid-Manchester United.»
«Mi scusi signor Johansson, ma a noi burocrati trilingue con master in business administration alla Ludwing Maximilian Universität di Monaco di Baviera cosa cazzo ce ne frega di Ivano di Locate Triulzi?»
«Mio giovane collaboratore, le faccio una domanda. Cosa succede dopo che l'arbitro fischia la fine del primo tempo?»
«Le squadre rientrano negli spogliatoi?»
«E...»
«Mmmh... gli altoparlanti che sparano dal terzo anello "Pazza Inter"?»
«La pubblicità! Partono 15 fottuti minuti dove possiamo ficcare spot dell'Heineken a nastro e beccarci un sacco di soldi. Lo moltiplichi per ogni partita che facciamo iniziare con quella cazzo di musichetta... the champiooons!»
Nella concitazione del momento Johansson sbatte il pugno sul tavolo e tra sé e sé pensa allo schifo che gli fa quella broda amara che sponsorizza la sua competizione regina. La riunione prosegue. Il presidente dell'UEFA nel frattempo è uscito a bersi una Brewski, lasciando i suoi collaboratori a discutere dei dettagli.
«E tutte le squadre che rimangono fuori ai preliminari?»
«C'è la Coppa UEFA!»
«Ma che chi arriva terzo se ne torna a casa? Così, senza salutare?!»
«Mettici anche quelle nella UEFA! Anzi, chiamamola Europa League, se ci aggiungi "League" sembra tutto più esclusivo, no?»
«Bene, e dove la mettiamo tutta sta roba? Lunedì posticipo, martedì Champions, mercoledì anche, venerdì anticipo... rimane il giovedì.»
«Ma la Coppa delle Coppe?»
«Eee sticazzi?! Mi sembra che abbiamo finito. Spegni la luce, che Lenny dopo si incazza.»
«Momento, ma quelle robe lì, la FA Cup, la Coppa Italia, la Coppa del Re? Dove le mettiamo?»
«Ma che ci stanno ancora? Mettile nell'umido.»

Un anno dopo, il 19 maggio del 1999, al Villa Park di Brimingham, la Lazio di Sven Göran Eriksson e il sorprendente Mallorca detentore della Coppa del Re danno vita all'ultimo atto di una storia decennale il cui epilogo era già stato scritto. L'allargamento della Champions League, che dalla stagione 1997-1998 prevede l'ingresso delle seconde classificate provenienti dai maggiori campionati è l'avvisaglia che i tempi stanno cambiando e che qualcuno dovrà farne le spese. La Coppa UEFA è la seconda competizione europea per longevità, è il trofeo intitolato alla confederazione e i criteri di partiecipazione sono abbastanza vaghi da permetterne la sopravvivenza all'ombra della Champions, confinata il giovedì sera. Chi invece non sembra poter tenere il passo coi tempi è la Coppa delle Coppe, ultima arrivata in casa UEFA, divenuta a fatica la seconda competizione europea per prestigio e capace di donare un senso a coppe nazionali troppo spesso snobbate dai grandi club. Unico discrimine per parteciparvi: la vittoria della coppa nazionale, semplice, razionale e a quanto pare dannatamente antiquato. 

Una storia interrottasi quasi vent'anni fa.

Cosa abbiamo vent'anni dopo quella riunione a Nyon? La tanto agognata "superlega" è diventata realtà, ha conquistato il mercato e il nostro immaginario, è diventato un brand riconoscibile e ha adottato quella che a mio parere è la formula ideale per ogni grande manifestazione calcistica, quella a 32 squadre suddivise in otto gironi. Niente ripsescaggi e migliori terze ma una progressione lineare fino alla finale secca, divenuta a sua volta un evento nell'evento. Nulla da eccepire, il problema sono le macerie rimaste dietro a questa cattedrale eretta da investitori e dirigenti sportivi e che noi italiani conosciamo bene, con squadre che considerano l'Europa League alla stregua di un impiccio e iniziano a giocarla dai quarti di finale in avanti.

L'Europa League è un torneo nato, sarebbe meglio dire sopravvissuto, per sottrazione, dagli avanzi lasciati dalla Champions. Tra questi avanzi c'è la carcassa della Coppa delle Coppe, un tempo fulcro di un'organizzazione delle competizioni molto più pulita ma probabilmente irripetibile. Come le 16 squadre vincitrici dei maggiori campionati trovavano il loro posto naturale in Coppa dei Campioni, la Coppa delle Coppe offriva un degno rifugio a chi, e solo a chi, coglieva il successo nella coppa nazionale, assolvendo al duplice scopo di conferire nobiltà e valore economico ai trofei messi in palio dalle singole federazioni e una ragion d'essere alla Supercoppa, legittima proiezione europea delle supercoppe nazionali che mettevano di fronte detentrici di campionato e coppa. Appannaggio talvolta di squadre di non primissima fascia, le coppe nazionali godevano di maggiore considerazione da parte dei club, a cui la Coppa delle Coppe donava la possibilità di poter competere da protagoniste in un torneo non troppo affollato, uniche rappresentanti del proprio Paese. Ed è questa perduta esclusività che probabilmente costituisce il maggior rimpianto dei nostalgici, consapevoli di come una Coppa dei Campioni o una Coppa delle Coppe fossero il coronamento di un lungo percorso, il frutto di una vittoria o di una finale raggiunta, non di un quarto posto e di un preliminare contro il Djurgarden. Avremmo mai visto il Vicenza di Guidolin raggiungere la seminfinale contro il Chelsea dovendo passare dalle sabbie mobili rappresentate dagli infiniti turni preliminari dell'attuale Europa League? Sampdoria, Malines, Saragozza avrebbero mai potuto alzare il trofeo dovendosi scontrare con le fuoriuscite della Champions? Non è dato sapere ma è quest'ultimo dettaglio che secondo me testimonia più di ogni altro la residualità alla quale l'Europa League è stata relegata.

La sorprendente vittoria del Real Saragozza nel 1995.

Apprezzo e capisco il fascino di una competizione che ogni anno mette di fronte quasi tutte le squadre più forti e blasonate le quali, con una formula più snella ma datata, rimarrebbero per forza di cose escluse, ma possibile che il prezzo da pagare per l'"Atmosfera Champions" sia un torneo insulso come l'Europa League? Possibile che la finale di Coppa Italia diventi poco più che un amichevole di fine campionato visto che il più delle volte entrambe le squadre sono già qualificate a una delle due competizioni europee supersititi?

Non siamo più negli anni Novanta e forse è meglio così. Il carrozzone Champions, coltivato a steroidi per oltre un decennio è qui per restare, rendendo praticamente impossibile trovare una collocazione a un terzo torneo continentale. Prima che lo scandalo corruzione lo travolgesse, pare che il presidente Platini fantasticasse già di una Champions a 64 squadre che avrebbe inglobato ogni altra competizione. Le proposte però non mancano, soprattutto da parte delle piccole federazioni, dove il grosso delle entrate dei club è costituito dagli introiti generati dalle partite di Europa League piuttosto che dai premi pagati per la partecipazione in Champions, che nella maggior parte dei casi si conclude dopo uno o due turni preliminari. I colloqui, intavolati proprio nel periodo precedente le dimissioni di Platini, potrebbero subire un'accelerata dopo il 2018, anno in cui i contratti televisivi firmati dall'UEFA per la copertura delle sue competizioni scadranno. Il progetto è complicato ma terribilmente affascinante, è difficile immaginare gli investitori sfidarsi al rialzo per acquistare inserzioni in un torneo dove le squadre più popolari sono per forza di cose limitate, ma potrebbe essere la chiave per riequilibrare almeno parzialmente il panorama delle competizioni UEFA. Le squadre provenienti dai campionati minori troverebbero più spazio e le coppe nazionali, ormai diventate il torneo preferito dai portieri di riserva, riacquisterebbero la dignità perduta senza dover ricorrere alla soluzione già adottata in Sudamerica e che prevederebbe l'accesso diretto in Champions, a scapito, ancora una volta di tutto il resto.

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3 Commenti:

Alle 25 luglio 2019 alle ore 08:03 , Blogger Unknown ha detto...

Oltre a questo, c'era la possibilità di incroci meravigliosi.

Esempio: le prime due del campionato erano in coppa dei campioni e si erano sfidate in finale di coppa italia? chi ci andava in coppa delle coppe? nessun problema: spareggio tra le due semifinaliste sconfitte.

 
Alle 24 dicembre 2019 alle ore 09:23 , Blogger Le Sorcier Blanc ha detto...

Questo commento è stato eliminato dall'autore.

 
Alle 24 dicembre 2019 alle ore 09:26 , Blogger Le Sorcier Blanc ha detto...

Con qualche mese di ritardo ti dò ragione caro anon. Peccato che soluzione pensata dall'UEFA pare sia questa qua: https://www.ilposticipo.it/diritto-effetto/nasce-leuropa-conference-league-chi-partecipera-alla-terza-coppa-europea/?refresh_ce-cp

Una seconda Europa League che sembra somigliare più a un'inserzione pubblicitaria che a un torneo di calcio.

 

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