domenica 12 febbraio 2017

Il miracolo di Wembley

12 febbraio 1997. Sono passati esattamente vent'anni da quella sera. Il successo cinematografico de Il Ciclone aveva illuso un intero popolo che Leonardo Pieraccioni potesse essere divertente, Born Slippy degli Underworld non aveva ancora finito di martellarci in testa, mentre gli incentivi FIAT promettevano «3 milioni per un usato che vale 0». Dieci giorni dopo i Jalisse vinceranno Sanremo. Un Paese praticamente allo sbando che, come spesso capita, trova nel calcio l'anestetico capace di mettere a tacere, almeno per una notte, le pene di una vita intera.  Mettetevi comodi e sintonizzatevi su TMC, canale numero 7 del vostro televisore a tubo catodico. A Wembley sta per cominciare l'incontro dell'anno.
 

Per apprezzare appieno il racconto di quella serata di vent'anni fa occorre partire da un po' più indietro, dall'estate precedente almeno, dal prato del Montjuic di Barcellona, dove Cesare Maldini conquista con la sua Under il terzo titolo europeo consecutivo. I vertici della FIGC, la stampa, l'opinione pubblica acclamano quell'anziano maestro di calcio che solo qualche anno prima veniva accolto con scetticismo da un popolo che allora aveva orecchie solo per il nuovo verbo "sacchiano".

Alla fine del 1996 la situazione è capovolta, chi come me era un bambino negli anni Novanta forse ricorderà i ritornelli che invitavano Sacchi a prendere esempio dall’Italia di Maldini, che facevano notare come ormai l’appuntamento da non perdere fosse quello del martedì sera, con l’Under 21 a fare da scoppiettante preludio ora a quella vittoria sofferta con la Lituania, ora a quella prestazione da dimenticare con la Croazia di turno. Il 6 novembre, all'improbabile orario di pranzo di un mercoledì di lavoro si consuma l'ultimo atto dell'esperienza di Sacchi sulla panchina della Nazionale. La sconfitta per 2-1 contro la neonata Bosnia è il “rompete le righe” che tutti aspettavano. Sacchi è già promesso al Milan, chiamato a salvare una stagione iniziata male e che finirà peggio, mentre giornalisti e tifosi non aspettano altro di vedere Cesare Maldini liberare i talenti "azzurri" dalle gabbie tattiche in cui il “Mago di Fusignano” li ha per troppo tempo tenuti rinchiusi.

La fiducia che Cesarone si è guadagnato all’indomani della prima uscita amichevole contro l’Irlanda del Nord diventa rapidamente aperto ottimismo la sera del 12 febbraio 1997 a Wembley. Italia e Inghilterra arrivano allo scontro diretto nelle qualificazioni per i Mondiali di Francia a punteggio pieno e Vittorio Cecchi Gori siede sulla tribuna d’onore, tronfio di compiacimento per aver strappato i diritti di trasmissione dell’incontro clou del girone a mamma RAI. «Fratelli d’Italia, l’Italia s’è desta, dell’elmo di Scipio s’è cinta la testa…» la grafica scandisce a mo’ di karaoke l’inno di Mameli in un periodo in cui, ricorderete, era in pieno svolgimento la polemica sullo scarso patriottismo dei nostri calciatori che, lungi dai canti a squarciagola a cui ci hanno abituato negli ultimi anni, allora si limitavano a impercettibili movimenti delle labbra. God save the Queen invece è la solita pelle d’oca, con il silenzio dell’orchestra ad amplificare l’ululato di Wembley.
Parterre des rois per la serata di TMC.
È il momento delle formazioni: se la numerazione dall’uno all’undici oggi può apparire romatica, al limite dell’anacronistico è il libero che Cesare Maldini schiera davanti a Peruzzi in barba ai dettami del calcio totale professato da Sacchi. Memore dei suoi trascorsi da giocatore e da vice di Bearzot, Cesare Maldini si presenta con Costacurta a copertura dei centrali Ferrara e Cannavaro, alla sua prima da titolare. Il signor Sandor Puhl fischia l’inizio e gli uomini di Glenn Hoddle non ci mettono molto a prendere il sopravvento. Beckham e Le Saux spingono parecchio sulle fasce, costringendo Di Livio e Maldini ad arretrare. I pochi sussulti “azzurri” arrivano da contropiede, tanto per cambiare. Al 19′, mentre Massimo Caputi ricorda come l’ultima, e fino ad allora unica, affermazione dell’Italia a Wembley risalga al goal di Capello del 1973, Costacurta fa quello che oggi ci aspetteremmo da Bonucci: un lancio da metà campo con il contagiri, perfettamente ammaestrato da Gianfranco Zola, lesto a infilarsi nello spazio lasciato libero da Campbell e Pearce. Il tempo di tre rimbalzi e il "Tamburino Sardo" diventa "Magic Box". Zola fa partire un destro sul primo palo che fulmina il portiere Walker e fa esplodere gli italiani presenti. Giacomo Bulgarelli si affretta a battezzare il goal come «straordinario» per via del controllo al volo, Vialli, fresco esperto di calcio inglese invitato per l’occasione, si concentra sulla difficoltà di centrare uno specchio di porta così ristretto, Roberto Mancini, chiamato a completare la serata-evento di TMC, è più stringato: «ha fatto un grandissimo goal.»


L’Italia prende fiducia, alza il baricentro e pochi minuti dopo Zola trova un tiro al volo da fuori area che impegna Walker. Improvvisamente Vialli, alla guida della spedizione italiana da poco sbarcata a Stamford Bridge, fa uscire l’istrione che è in lui: «notavo che sia Zola che Di Matteo sembrano molto migliorati dagli ultimi mesi a questa parte». Risatine. Alla mezz’ora Maldini, Paolo, intercetta un passaggio di David Batty, scarta Gary Neville accorso in scivolata, va sul fondo e mette in mezzo. Ince respinge, la palla torna tra i suoi piedi, azzecca un pallonetto che lo mette faccia a faccia con Walker, prova a servire in mezzo con un tocco di suola, ma arriva Pearce che libera. Maldini, Cesare, si dispera.


Sul finire del primo tempo manca poco che una marcatura non troppo stringente di Cannavaro e un’uscita sbagliata di Peruzzi concedano allo spento Le Tissier il pareggio. Dalla panchina il nostro nuovo CT, alla prima uscita ufficiale, urla e si sbraccia nonostante il vantaggio e ne ha ben donde da quando la sua squadra è tornata ad abbassarsi troppo e a subire un’Inghilterra che vive soprattutto delle fiammate di Beckham.

Il secondo tempo inizia com’era finito il primo, complice anche il vantaggio, è l’Inghilterra a mantenere l’iniziativa. L’incantesimo dell’Italia bella e arrembante è durato 10 minuti. Di fronte alla pressione inglese che apre invitanti spazi per i nostri attaccanti, Mancini rompe la timidezza e suggerisce l’ingresso di Chiesa. Nel frattempo in campo due giocatori non smettono di rincorrersi. Quei movimenti ci dicono qualcosa, ci sembrano financo familiari. Dove va McManaman va Dino Baggio. Sempre, ovunque. Una marcatura personale che copre tutta la nostra metà campo e libera uno dei loro centrocampisti dai piedi un po’ meno buoni. Vialli, che ha già la stoffa del commentatore, se ne accorge e lo dice chiaro: «dopo quattro anni di gestione Sacchi siamo tornati alla vecchia ma sempre valida marcatura a uomo.»


La partita si mantiene sullo stesso registro fino alla fine, con il disordinato assedio inglese che si infrange sulla granitica difesa “azzurra”. «Una vittoria all’italiana conclude Vialli», «preferisco vincere 1-0 così che pareggiare giocando bene» rintuzza Bulgarelli. «Sono soddisfattissimo» è la prima dichiarazione di Cesare Maldini, che glissa sui maliziosi apprezzamenti per la prestazione di Dino Baggio. Poco gioco ma 3 punti a Wembley e la sensazione di essere tornati a fare quello che sappiamo fare meglio. Cesare ci ha fatti tutti contenti, almeno per una notte.

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domenica 5 febbraio 2017

AFCON 2017 Top XI


E anche questa Coppa d'Africa ce la siamo levata dalle palle. Tre settimane di partite così così che hanno messo in apprensione migliaia di giocatori di Fantacalcio, i più attenti osservatori di questo torneo, impazienti di vedere uscire di scena le Nazionali dei propri calciatori nella speranza di riaverli al più presto a disposizione.

Poi c'è quel pervertito del sottoscritto che ogni due anni si fomenta e naviga come un pirata tra i bandi della polizia postale a caccia dello streaming giusto per vedersi in tranquillità un Burkina Faso-Camerun qualsiasi... per poi scrivere su questo blog dimenticato da Dio. 

Bene, per non rendere vani i miei sforzi vi propongo la mia Top XI del torneo di quest'anno: non necessariamente la squadra dei più bravi o dei più in vista, a quella magari sta già lavorando un giornalista vero, ma quella degli uomini che per un motivo o per l'altro mi hanno colpito di più, messi in fila come una volta, dall'1 all'11. Come direbbe Criscitiello: partiamo.

1 Essam El Hadary
44 anni - Egitto
Io ci avrei messo volentieri il giovane portiere del Camerun Fabrice Ondoa, che con le sue parate spettacolari (memorabile quella da seduto che ha estromesso il Gabon nella partita finale del girone) si sta dimostrando degno erede della tradizione camerunense nel ruolo. Se però mi regalate la storia di un ultraquarantenne alla settima Coppa d'Africa che parte da 12° e finisce per essere l'eroe della semifinale guadagnandosi la quinta finale in carriera, che cosa posso fare io?

2 Elisha Muroiwa
28 anni - Zimbabwe
A dire il vero non sapevo chi mettere in questa parte di campo, così ho scelto lui. Una vita a fare legna sui campi dello Zimbabwe, l'arrivo ai Dynamos, principale squadra del Paese, e la chiamata in Nazionale in non tenerissima età. La selezione in questa top XI completa la favola.

4 Kara Mbodji
27 anni - Senega
Gli occhi erano tutti sul compagno di reparto Kalidou Koulibaly, pilastro del Napoli di Sarri, che però ha quasi sfigurato di fronte alla sicurezza mostrata dal centrale dell'Anderlecht e capitano del Senegal. Fino ai quarti è stato lui il maggiore indiziato per alzare il trofeo stasera a Libreville.

6 Ahmed Hegazy
26 anni - Egitto
Non c'è niente di meglio di questo gigante di 196 centimetri con un passato italiano da nascondere tra Fiorentina e Perugia per rappresentare la solidità difensiva dell'Egitto di Cuper: 4 goal segnati ma anche uno solo subito in cinque partite. Nella semifinale contro il Burkina Faso ho visto i 96kg di Aristide Bancé abbattersi su di lui in un contrasto di gioco, pare non essersene neanche accorto.

3 Hamza Mendyl
19 anni - Marocco
Se tra le Nazionali europee siamo ormai abituati a vedere tutto lo spettro della tavolozza a 256 colori, fa ancora una certa impressione vedere il Marocco schierare un giocatore dalle evidenti origini sub-sahariane. Di padre ivoriano, il giovane difensore è però un vero khoya di Casablanca. Deve il suo incontro con il professionismo al CT Renard, che dalle giovanili del calcio marocchino lo ha catapultato prima in Nazionale e poi in Ligue 1. Il tecnico francese lo deve aver raccomandato al Lille che fino ad ora lo ha fatto giocare con le riserve e con tutta probabilità ora gli aprirà le porte della prima squadra.

5 Denis Bouanga
22 anni - Gabon 
Praticamente l'unico membro della sqadra padrona di casa ad essersi messo in luce durante il torneo. Se il presidente Ali Bongo confidava nella stella Aubameyang per dare lustro internazionale al suo piccolo potentato e per dissipare parte delle pressioni interne, si è dovuto accontentare delle prestazioni di questo centrocampista di proprietà del Lorient, che ha passato le ultime stagioni in Ligue 2 ma che è sembrato anche l'unico giocatore in tutto il Gabon capace di saltare l'uomo.

8 Emmanuel Atsu
26 anni - Ghana
Di solito occupa la posizione di esterno di destra nel centrocampo a tre di Avram Grant, una mezzala di quantità ma non solo. Qui ho deciso di adattarlo come interno di un centrocampo a 4, sacrificando forse le sue doti offensive ma rendendo giustizia a un giocatore che da quattro anni è di proprietà del Chelsea e che da altrettanti girovaga in prestito tra Inghilterra e Spagna.

7 Christian Bassogog
21 anni - Camerun 
Se è vero che il senso ultimo della Coppa d'Africa, oltre a quello di decimare il campionato francese, è quello di fare da vetrina ai giovani talenti, credo che non ci sia nessuno che in queste tre settimane lo abbia dimostrato come Christian Bassogog. Con un'esperienza internazionale limitata alle serie inferiori americane e a un paio di partite in Nazionale, l'esterno dell'Aalborg è riuscito a moltiplicare come nessun altro la sua quotazione, alla faccia dei fighetti da Bundesliga che hanno snobbato la chiamata della patria. L'anagrafe è dalla sua parte, solo i 45 anni che dimostra all'apparenza possono fermarlo.

11 Piqueti 
24 anni - Guinea Bissau
Manca mezz'ora alla fine della partita, il Gabon è appena passato in vantaggio, serve una scossa. L'allenatore della Guinea Bissau Baciro Candé guarda sconsolato la sua panchina composta da semiprofessionisti cresciuti nei bassi fondi del sistema calcistico portoghese. A un certo punto però i suoi occhi incrociano quelli di Piqueti Djassi Brito Silva, piccolo esterno d'attacco le cui 4 presenze con la prima squadra del Braga sembrano l'iniezione di esperienza necessaria per recuperare la partita. Piqueti entra e sulla sinistra le cose cambiano. Le geometrie di Zezinho trovano il giusto sfogo e la Guinea Bissau si rende pericolosa. Nel recupero arriva il pareggio e nelle partite seguenti Piqueti parte titolare, segnando anche il momentaneo vantaggio con il Camerun. Direi che basta per stare qui.

10 Sadio Mané 
25 anni - Senegal
Ad oggi è probabilmente il miglior giocatore del continente, come dimostra il jet privato che il Liverpool ha messo a disposizione per riaverlo al più presto. In coppia con il laziale Keita Balde, a tratti sembra giocare a un altro sport da quello dei difensori avversari. Sbaglia il rigore decisivo che toglie dalle mani del Senegal la probabile prima Coppa d'Africa della sua storia. Consolati così Sadio.

9 Aristide Bancé 
32 anni - Burkina Faso 
19 club sparsi per 11 Paesi diversi su tre continenti sono i numeri esagerati della carriera del giocatore più figo di questa Coppa d'Africa. Esagerati come il suo 1,93m, il suo quasi quintale di peso e i suoi capelli biondo platino che su Eurosport gli sono valsi il soprannome di Demolition Man. Confesso che il suo è stato il primo nome che ho controllato all'inizio del torneo, consapevole che sarebbe partito dalla panchina ma sollevato dal saperlo al suo posto. Sì, perché secondo me non c'è nessuno che senta la Coppa d'Africa come Aristide Bancé, mai titolare ma sempre a segno nelle sue tre partecipazioni, compresa questa. Ai quarti, contro la favorita Tunisia, il suo ingresso spacca la partita già prima della potentissima punizione con cui porta in vantaggio i suoi. Contro l'Egitto, in semifinale, il CT lo rischia dall'inizio e ringrazia le sue movenze da giandone quando lo vede in area stoppare con il petto una palla proveniente da destra e battere El Hadary. Spero di rivederti tra due anni Demolition Man.

Allenatore - Hector Cuper
Egitto
Io metterei sempre e comunque Claude Le Roy, il decano degli stregoni bianchi che ha ispirato anche lo pseudonimo che uso qui, però è bello rivedere Cuper raccogliere qualche soddisfazione dopo tanti anni. Batti sul cuore dei tuoi uomini e vinci sta coppa, che tanto sappiamo già come va a finire.


Un piacere per gli occhi e per le orecchie la coppia Mané-Bancé.



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