venerdì 30 dicembre 2016

Necrologio 2016

Il 2016 è prossimo alla conclusione, un altro anno demm… che oltre alle decine di morti nel mondo dello spettacolo ci lascia in eredità una serie di ritiri eccellenti.


Steven Gerrard 
36 anni
Figlio della Kop, bambino prodigio, capitano e leggenda dei reds. Artefice della più folle delle vittorie in Champions, di lui resta il rammarico di non aver raccolto quanto meritato e di avere sulla coscienza l’errore che costò al Liverpool l’unica vera occasione di riportare a casa la Premier League.


Miro Klose 
38 anni
Forse il più grande bomber dai tempi Gerd Muller (anzi, i numeri invitano a togliere quel forse), solo che nessuno lo sa. Un esempio di campione silenzioso. Per un omaggio come si deve vi invito a leggere qui.


Luca Toni 
39 anni
Cannelloni, Luca Toni, pepperoni, Luca sei per me…  numero uno!

Diego Milito
37 anni

Da anonimo sosia di Francescoli a idolo di tre tifoserie, da Buenos Aires, a Genova, a Milano, e poi la Champions che non gli valse neanche una nomination al Pallone d’Oro. Addio mio dolce Principe.

Nemanja Vidic 
35 anni
Colonna dell’ultimo Manchester di Alex Ferguson, l’ultimo vero Manchester. Per lui una Champions e un caso di stalking.

Juan Carlos Valeron 
41 anni
Un maestro del calcio, tecnico, elegante, intelligente. Chi ha giocato con lui non riesce a non fargli i complimenti. Per Jugovic era più facile giocare bene con Valeron al proprio fianco. Trovatosi prigioniero di un’epoca che non era la sua, troppo veloce e fisica per le sue fragili spalle, valgano però le parole di uno che in questa epoca ha dimostrato di trovarsi decisamente a suo agio, Andrès Iniesta: «Valeron è uno di quei giocatori per cui vale la pena pagare il biglietto.»

Alex 
34 anni 
No, non è Alexandro de Souza, il nostalgico ex Parma e Fenerbahce di cui parliamo qui, bensì Alex Rodrigo Dias Da Costa, l'appesantito difensore del Milan che Mexes e Zapata, loro malgrado, si sono guardati bene dal fare sfigurare. Alex però non era solo il ciccione visto da noi, centralone con il senso del goal in area era uno specialista delle punizioni. Un posticino tra Branco, André Cruz, Roberto Carlos e Juninho glielo teniamo.


Mikel Arteta 
34 anni
Promessa mai del tutto sbocciata, all’Everton seppe riguadagnarsi parte di quello che la sua carriera gli aveva promesso in gioventù. L’ultimo capitano dell’Arsenal che conosco.

Fernando Cavenaghi 
33 anni
Nel 2003 c’erano Tevez, Mascherano, Zabaleta e poi lui, il Torito Cavenaghi, uno di quei giocatori argentini che ad ogni Mondiale under 20 sembrano destinati a una grande carriera. A 20 anni sceglie di giocarsi la sua chance europea in Russia e da lì forse il suo destino cambia. Non troppe soddisfazioni tra Spagna, Francia, Messico e Cipro ma uno status di eterno idolo al River Plate. Ci mancherai un po’ anche tu, cugino del Cave di Bellinzago.

Bobby Zamora
35 anni
Qui da noi non è molto conosciuto ma in Inghilterra gode di uno stato di idolo ovunque sia passato… oddio forse al Tottenham no, però i tifosi di QPR, West Ham e Fulham lo ricordano così.

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venerdì 23 dicembre 2016

Caro Maestro/III

In questa puntata: Maradona al Flamengo, anzi no, al Boca, anzi no... Batistuta contro la municipale, le notti insonni di Cecchi Gori, una storia di giocatori in affitto, Tabarez in galera. Densità stimata: 3,7 aneddoti per centimetro quadrato.

 
Cambio vita, me ne vado in Argentina
C’eravamo lasciati alla notte dell’Olimpico dove l’Uruguay esce sconfitto ma con l’onore delle armi. I tanti falli fischiati ai sudamericani lasciano qualche strascico polemico che come nel suo costume Tabarez non raccoglie: «Auguro all'Italia di vincere questo Mondiale, se lo meriterebbe proprio. Ai nostri tifosi li rimando ai campionati del '94 negli Stati Uniti» Un signore quell’uruguayano, l’avrà pensato anche Gianni Brera, che in uno dei suoi ermetici pezzi ha solo parole di elogio per il gioco intelligentemente difensivo mostrato dalla sua squadra.

Quella notte magica, quell’estate italiana però lascia qualcosa di più di un’onorevole eliminazione, è l'inizio di un rapporto simbiotico tra il calcio uruguayano e la nostra Serie A che in qualche modo dura tuttora. Per qualche insondabile affinità elettiva dovuta forse al mare, forse ai buoni uffici che Tonino Orrù e Massimo Cellino potevano vantare presso il tentacolare procuratore Paco Casal, è a Cagliari che si forma la prima “Little Montevideo” italiana. All'inizio dei Mondiali Fonseca non fa in tempo a scendere in campo che ha già firmato il suo nuovo contratto con i rossoblu. Nell’ambiente teso di Veronello per la sconfitta subita con il Belgio, la trattativa per “Pepe” Herrera, su cui perfino la Juventus aveva messo gli occhi, va per le lunghe. Alla fine, con qualche giorno di ritardo Herrera potrà esternare tutta la sua gioia: «Adesso sono felice e capisco cosa ha provato Fonseca dopo la firma col Cagliari. Il richiamo di Cagliari è stato troppo allettante per lasciarsi sfuggire l'occasione, in Italia si gioca il miglior calcio del mondo» Qualche settimana e anche Francescoli si decide a sbarcare in Sardegna. E il Maestro? Ovviamente attraccherà anche lui al porto di Cagliari ma il suo sarà un viaggio un po’ più lungo. Prima tappa: Buenos Aires.

Date le aspettative della vigilia, l’eliminazione agli ottavi non lascia troppi margini per una riconferma che già prima del Mondiale appariva improbabile visti gli attriti e le incomprensioni con una federazione che El Maestro giudica troppo assente e disorganizzata. In Sudamerica le sue doti tecniche ed umane però sono note e non passa molto tempo prima che arrivi la chiamata di Antonio Alegre, l’uomo a cui a metà anni Ottanta il presidente argentino Raul Alfonsin aveva chiesto di salvare il Boca Juniors dal fallimento. Un grande onore ma anche una grande responsabilità per Tabarez che racconta come appena arrivato alla Bombonera si sentì dire: «allenare il Boca non è come essere Presidente della Repubblica, ma quasi.» All’inizio del 1991 il Boca è una squadra in salute ma che non alza un trofeo importante da quasi dieci anni, per questo il deludente ottavo posto rimediato nel Campionato Apertura 1991 ha convinto la dirigenza a esonerare il tecnico Carlos Aimar. La rosa a disposizione non è eccelsa ma questo di certo non spaventa El Maestro che più che campioni cerca allievi disposti ad imparare. Tra questi allievi spicca un giovane attaccante con i capelli biondi. Arriva dal River Plate dove l’allenatore Daniel Passarella lo ha sommariamente bocciato dopo poche partite. Segna poco, spreca tanto ma Tabarez non impiega molto tempo per capire che quel capellone che Aimar fa giocare esterno è in realtà l’unico vero centravanti della squadra. Il suo nome è Gabriel Omar Batistuta. La prima cosa che fa Tabarez dopo il suo arrivo è spostarlo al centro dell’attacco, mettendo al suo servizio la fantasia e la velocità di Diego Latorre e Alfredo Graciani. Il Maestro non rinuncia al suo amato 4-3-3, che con Batistuta si arricchisce di quella punta centrale forte fisicamente che gli era mancata nel biennio passato alla guida dell'Uruguay. La vera stella del Boca però è Latorre che rispetto all’amico Bati ha avuto un inizio carriera travolgente, esordendo in prima squadra a 18 anni e guadagnandosi per primo l’ingombrante etichetta di erede di Maradona.

L’approccio di Tabarez con l’ambiente non può essere migliore visto che vince subito due amichevoli contro i rivali del River. Il campionato inizia con una vittoria in casa dell’Argentinos ma è tre giorni dopo, alla Bombonera, che si consuma il battesimo del fuoco. È la prima partita di Coppa Libertadores e di fronte c'è, manco a dirlo, il River Plate. Agli ospiti bastano pochi minuti per portarsi sul 2-0. Latorre accorcia le distanze ma neanche il tempo di mettere la palla al centro che l’arbitro fischia un rigore per il River. Si va negli spogliatoi sul 3-1, unica consolazione l’espulsione di Astrada che lascia i suoi in dieci. All’11′ della ripresa una punizione in area è intercettata da Blas Giunta che accorcia le distanze. Il Boca preme e a 20 minuti dalla fine un triangolo tra Latorre e Marchesini mette in condizione quest’ultimo di battere sul primo palo il portiere Passet. L'impresa è già compiuta ma è il tiro sotto la traversa di Latorre a tempo quasi scaduto che consegna la partita alla storia, che consacra definitivamente Latorre come nuovo idolo della Bombonera e che fa capire al pubblico argentino che quel gentiluomo venuto dalla sponda opposta del Rio de la Plata è destinato a lasciare il segno.

Fammi spazio.

Il segno per la verità l’ha già lasciato con tre Superclásicos vinti in neanche tre mesi che gettano le basi di una delle strisce più vincenti del Boca nella storica rivalità con il River. In due anni saranno 12 le vittorie nel derby, con una sola sconfitta e ben due affermazioni in Libertadores. Due mesi dopo il miracoloso 4-3 della Bombonera si gioca infatti il ritorno al Monumental dove Batistuta sale in cattedra. Prima si procura un rigore che trasforma spiazzando il portiere, poi manca di un centimetro una palla che è solo da spingere in rete, infine si fa perdonare segnando di testa al termine un'azione fotocopia di quella precedente. In campionato il Boca di Tabarez vola, con sette vittorie nelle prime dieci partite, due soli goal subiti e nessuna sconfitta, scava un profondo solco tra sé e le inseguitrici già a metà del torneo. Il segreto? Pur non parlando lo spagnolo lo si può capire abbastanza bene da questa vecchia VHS che si apre simbolicamente con le immagini del titolo del 1981, l'ultimo del Boca fino a quel momento, l'unico di Maradona con la camiseta gialloblu. Tabarez si impegna fin da subito a trovare la posizione ideale per ciascun giocatore, a tirare fuori il meglio di ognuno per mettere in campo una squadra che sia sempre protagonista. El Maestro ammette, e nel 1991 non potrebbe fare altrimenti, di ispirarsi al Milan di Sacchi, anche se tiene a precisare come per lui non fosse Sacchi in sé l'elemento determinante. «Per me i veri protagonisti erano i Baresi, i Gullit, i Van Basten, giocatori all'altezza della proposta [di gioco ndr]».

Se in campionato gira che è una meraviglia, in coppa la squadra concede qualcosina, soprattutto quando è costretta a giocare in altura. Due sconfitte in Bolivia non pregiudicano il passaggio agli ottavi, dove il Boca supera nel doppio confronto il Corinthians. Ai quarti c'è il Flamengo che all'andata si impone al Maracanà e al ritorno si presenta alla Bombonera con il ramoscello d'ulivo. I giocatori brasiliani infatti entrano in campo portando uno striscione su cui si legge: «Maradona, Flamengo te ama, hoy y siempre». Ossequi che celano da una parte i tentativi dei brasiliani di arruffianarsi l'ostile pubblico argentino e dall'altro quello di mandare un messaggio a Diego, che pur sottoposto a squalifica in Italia, avrebbe comunque potuto trovare una sistemazione temporanea in Brasile. Gli applausi così guadagnati servono però a poco contro Batistuta, che segna un rigore in apertura e Diego Latorre, la cui doppietta ribalta il risultato dell'andata e porta il Boca in semifinale.

Una notte di ordinaria follia
Ultimo ostacolo prima di una finale che manca del 1979 è rappresentato dai cileni del Colo-Colo. Forte della vittoria dell'andata, El Maestro ostenta tranquillità alla vigilia di quella che appare come una normale semifinale di copppa ma che si rivelerà essere uno dei momenti più drammatici della sua carriera. Le immagini della partita, oltre a rendere bene l'idea del delirio e della quantità di carta igienica che si potevano trovare in uno stadio sudamericano 25 anni fa, fanno capire come nel secondo tempo i giocatori del Boca abbiano lasciato la testa negli spogliatoi. Al 20', alla destra dell'area del Boca, si vedono due loschi figuri scambiarsi il pallone. Sembrano guerrieri mapuche o forse fanno solo parte di una cover band degli Europe. Il primo, quello che si accentra e scarica per il compagno, è Gabriel Mendoza. È uno dei terzini sudamericani più promettenti dei primi anni Novanta e oggi fa l'assessore allo sport a Viña del Mar. Il secondo, quello che supera due avversari e crossa in mezzo ad altri due prima del goal di Ruben Martinez, è Marcelo Barticciotto: argentino di Avellaneda, nato il 1° gennaio 1967 ma registrato all'anagrafe un giorno prima per volere del padre che contava di fargli guadagnare un anno da dedicare agli studi universitari. Aveva fatto male i suoi calcoli però perché Barticciotto lascia anzitempo l'università per seguire i suoi interessi, tipo diventare una leggenda del Colo-Colo. Passano 120 secondi e Barticciotto fa 2-0. Una manciata di minuti e gli attaccanti cileni passeggiano in area con i difensori che stanno a guardare un colpo di tacco e un tiro di Jaime Pizarro che finisce di poco fuori. Le poche volte che il Boca riesce ad uscire dalla propria metà campo la palla cade presto preda dei difensori cileni che fanno ripartire l'azione colpendo soprattutto da destra. Gli xeneizes, a cui in fondo basterebbe un goal per tenere viva la speranza di qualificazione, sembrano prossimi alla resa quando Batistuta riceve palla sul vertice dell'area e senza guardare mette in mezzo dove, forse il caso, forse l'attenzione agli schemi di Tabarez, vuole che sbuchi Latorre che di testa accorcia le distanze. Il goal dà un po' di morale agli argentini che però hanno evidentemente meno benzina degli avversari.

Quando lo spettro dei supplementari (sì, proprio quello spettro lì) inizia ad aleggiare sul Monumental di Santiago, Martinez e Yañez del Colo-Colo chiudono un triangolo che taglia a metà la difesa del Boca. Ancor prima che Martinez possa battere a rete solo davanti al portiere, il Boca Juniors, lo staff, i tifosi a casa, hanno già tutti la mano alzata a chiamare il fuorigioco. Il guardalinee non batte ciglio, il goal è regolare. È l'inizio della corrida. In dieci minuti di ordinaria follia sudamericana succede quanto segue: in campo entra chiunque; i giocatori rilasciano interviste nel mezzo della partita; Tabarez aggredisce un uomo che risponde colpendolo al volto; le forze dell'ordine circondano il portiere e capitano del Boca, Navarro Montoya, mentre lancia il supporto di un microfono; giocatori argentini si avventano su persone non meglio identificate; Batistuta insegue un fotografo che lo respinge facendo roteare la sua macchina fotografica come se avesse in mano delle bolas; ancora Navarro Montoya, con i cani alle calcagna, si lancia su un malcapitato finito a suon di calci volanti, gomitate e pugni in testa da altri giocatori del Boca prima di uscire mestamente dall'inquadratura; Batistuta urla a qualcuno un inequivocabile «hijo de puta, hijo de puta!» per poi sferrare un calcio che finisce addosso a un carabiniere, il tutto mentre un insanguinato Tabarez cerca di trattenerlo per la maglia. La partita in qualche modo riprende ma dopo neanche un minuto un giocatore del Boca viene colpito da un oggetto. Dalla porta si vede un capellone che parte alla rincorsa, è il solito Navarro Montoya che con i pantaloni visibilmente lacerati dal morso di un cane, si precipita per protestare in faccia all'arbitro, prendere il pallone e scagliarlo in tribuna, guadagnandosi l'indiscusso titolo di idolo della serata. Se la caverà con un cartellino giallo. Quando si dice arbitraggio all'inglese...

Immaginate dieci minuti tutti così...
 
La serata si conclude con i cileni festanti che bruciano bandiere argentine e aggrediscono i tifosi ospiti mentre squadra e staff del Boca vengono portati in commissariato. A pagare il conto più salato è proprio Tabarez che viene arrestato e portato in cella insieme a un suo giocatore. Anni dopo Alfredo Graciani spiegherà come tutto sia nato da un uomo proveniente dalla panchina del Colo-Colo che avrebbe sbattuto a terra un giocatore del Boca mentre si affrettava a rimettere la palla al centro. Anche Carlos Navarro Montoya, l'assoluto protagonista di quella sera, conferma che la causa scatenante non fu tanto il goal subito, quanto le continue provocazioni dei giornalisti che ad ogni goal entravano a centinaia sul terreno di gioco insultando i giocatori argentini; ed è proprio Patricio Yañez, che con il Colo-Colo vincerà quella Libertadores, a riconoscere che se la stessa cosa fosse successa ai giorni nostri, il Monumental sarebbe rimasto chiuso per molto, molto tempo.

Rappresentazione allegorica della mattanza di Santiago. Olio su tela, 1991.

Tabarez non diventa presidente, ma quasi
Archiviata la notte al gabbio, Tabarez può concentrarsi solo sul campionato, dove la sua squadra avanza a grandi passi verso un successo annunciato. Il 23 giugno 1991, al Viejo Gasometro (quello Nuevo non era stato ancora costruito) San Lorenzo e Boca Juniors sono fermi sull'1-1. Sono i minuti finali e il Boca sta per battere una punizione. Il telecronista si chiede se quella sarà l'ultima partita in gialloblu di Diego Latorre, che in pratica è già della Fiorentina. Non presta la minima attenzione invece a Batistuta, che è lì di fianco e sta per sparare il pallone in curva. La partita si chiude così, con il Boca che torna campione d'Argentina dopo dieci anni e El Maestro che non è Presidente della Repubblica, ma quasi.

Carlos Navarro Montoya e il capitano Juan Simon con prole.

Una prima stagione da incorniciare quella di Tabarez, macchiata però sul più bello dal beffardo regolamento del campionato argentino che per la stagione 1990/91 prevede una finalissima tra le vincitrici del Torneo Apertura e Clausura. La sera dell'8 luglio, mentre El Maestro si arrovella su quale formazione mandare in campo per ribaltare l'1-0 subito all'andata contro il Newell's Old Boys del Loco Bielsa, Batistuta si trova a 1400 km di distanza, a Santiago del Cile, dove segna una doppietta contro il Venezuela nella partita di esordio della Coppa America. Privo di Bati e Latorre, Tabarez è costretto a improvvisare un attacco inedito formato da due giocatori acquistati per l'occasione. L'ex Universidad Católica Gerardo Reinoso e il brasiliano Gaucho arrivano infatti a Buenos Aires pochi giorni prima dello spareggio con il Newell's al solo scopo di rimpiazzare la coppia titolare impegnata con la Nazionale. Una responsabilità non da poco per i due attaccanti in affitto che, malgrado le poche ore trascorse alla Bombonera, sono ricordati con affetto dalla tifoseria. Reinoso pareggerà addirittura il goal dell'andata portando i suoi ai rigori che alla fine però premieranno il Newell's, riconosciuto ufficialmente quale unico vincitore di quel campionato.

La conferma
L'estate del Maestro passa tra la soddisfazione per il Clausura vinto e le inquietudini per un futuro senza Latorre. L'erede designato di Diego è da tempo promesso alla Fiorentina di Cecchi Gori che, dopo la partenza di Baggio, vuole regalare alla Curva Fiesole un nuovo numero 10 da amare. Anche Bati entra nell'affare ma è solo un comprimario. Per lui Cecchi Gori prevede un altro anno al Boca, il vero colpo è Latorre, o così dovrebbe essere. Nelle notti insonni passate davanti alla TV a guardare la Coppa America però si insinua nel presidente viola l'atroce dubbio di aver sbagliato tutto. Latorre non brilla, Batistuta trascina l'Argentina alla vittoria finale e la sua quotazione aumenta ogni giorno che passa. Indifferente ai 7 miliardi già sborsati, l'allenatore della Fiorentina Lazaroni preannuncia che Latorre partirà dalla panchina, la campagna abbonamenti langue e l'ambiente si sta abbacchiando. Parte il contrordine: Batistuta deve arrivare subito, Latorre può attendere, mentre a Buenos Aires si rischia la sommossa. Per non scontentare i tifosi Cecchi Gori cede ai ricatti del Boca e del procuratore Settimio Aloisio che oltre ai 12 miliardi per Batistuta, inserisce nel conto un sovrapprezzo di 500.000 dollari per il cartellino di Latorre, 400.000 dollari per il suo ingaggio e 2 miliardi e mezzo per l'acquisto di Antonio Mohamed come risarcimento per la partenza anticipata di Bati.

Mohamed, Bati e Latorre. Cecchi Gori se li sognava anche con la Marini nel letto.

Come è andata a finire da questa parte dell'oceano lo sappiamo bene, proprio quest'anno il vice-Renzi Nardella ha consegnato le chiavi della città di Firenze a Batistuta che in quell'estate di 25 anni fa lascia il Boca contro il parere di Tabarez. «Attenti. È difficile trovare un altro Batistuta», sono le parole con cui El Maestro timidamente tenta di opporsi alle leggi del mercato e allo strapotere dei club italiani, consapevole che Mohamed, a Bati, avrebbe potuto al massimo pulirgli le scarpe. Come spesso accade in Sudamerica, Tabarez si ritrova con una rosa uscita sfigurata dalla sessione estiva di calciomercato. Con la partenza di Graciani due terzi dell'attacco se ne sono andati, lasciando al deluso Latorre, che sperava di cominciare subito la sua avventura europea, il compito di segnare e far segnare la possente punta paraguayana Roberto Cabañas. A completare il tridente arriva dal Peñarol Sergio Manteca Martinez, che Tabarez volle come attaccante di scorta a Italia 90 e che al Boca diventerà un idolo. Un altro raccomandato è Ruben Pereira, che dopo il buon Mondiale con l'Uruguay e 13 dimenticabili presenze con la Cremonese, cede al richiamo del Maestro e lo raggiunge alla Bombonera. Il quadro dei nuovi arrivi è poi completato dal rosso terzino Carlos MacAllister e da un altro scarto della Serie A, ancora troppo fine per una bestia esotica come Gustavo Neffa.

Un saluto agli amici del River.
Tra le apparizioni di Maradona sulla tribuna della Bombonera e incontrollabili voci che vorrebbero il ritorno di Diego al Boca per volere dell'imprenditore Mauricio Macri, futuro presidente del club e attuale Presidente della Repubblica, la difficile stagione della riconferma inizia un po' a rilento con 4 punti nelle prime tre partite. La scarsa continuità delle altre squadre però viene incontro a Tabarez che alla decima giornata si presenta al Superclásico con un punto di vantaggio sui rivali del River Plate. Il Boca si fa vedere spesso nell'area avversaria e all'inizio del secondo tempo Sergio Martinez segna una gollonzo sugli sviluppi di un calcio di punizione. Segue uno degli show più in voga di quegli anni sui campi argentini, comprensiva di vertiginosa arrampicata sull'alambrado, la rete di separazione tra curva e terreno di gioco, maglie che volano via, perdite di tempo dell'ordine del quarto d'ora con spruzzata di cartellini finale. Se il Manteca si sta già guadagnando la fama di trascinatore è però il portiere Navarro Montoya a fare esplodere lo stadio quando al 66' spedisce in corner un dubbio rigore concesso al River. L'1-0 regge fino alla fine prolungando una striscia positiva che terminerà dopo otto partite nelle quali il Boca non subisce goal. La coppia Cabañas-Martinez non fa rimpiangere troppo i protagonisti dell'anno prima ma quando il traguardo è ormai raggiunto arrivano due sconfitte interne contro Independiente e Deportivo Español che rimettono tutto in discussione. Il River da parte sua è ammirevole per quanto riesca a buttare alle ortiche le innumerevoli occasioni di sorpasso che il calendario gli mette di fronte. Nel corso di tre settimane nelle quali gli uomini di Tabarez racimolano un solo punto, il River di Passarella riesce nell'impresa di non guadagnarne neanche uno. L'11 dicembre contro il Platense il match-ball è ancora incredibilmente tra le mani, anzi tra i piedi del Boca e del più inatteso dei suoi protagonisti. È infatti uno sconosciuto difensore di 19 anni, con meno di dieci presenze alle spalle, che al 20' del secondo tempo si trova il pallone tra i piedi e, un po' per gioco, un po' per incoscienza improvvisa una finta. Via uno, via due, via tre, dribbling sul quarto e tiro sotto la traversa prima che arrivi il quinto. Luis Medero segna un goal bellissimo con cui regala al Boca e al Maestro Tabarez il secondo titolo consecutivo e a se stesso un momento che vale un'onesta carriera passata tra Colon e San Lorenzo.

L'ultima di campionato contro il San Martin de Tucuman è il giorno della festa della Bombonera che come da consuetudine fa sfoggio di chilometri di carta igienica e tonnellate di papelitos che cadono a pioggia sul circo equestre che va in scena dopo il goal di Claudio Benetti. Una storia simile a quella di Medero, un altro sconosciuto che nel momento più importante si guadagna il diritto di scalare l'alambrado dal quale aizzare la gioia rabbiosa della curva, che in quell'istante aggiunge l'ennesima icona al pantheon del culto xeneize. Di lì a poco la polizia entrerà in campo, ci saranno feriti tra gli stessi calciatori, la rete di protezione verrà divelta e cadrà addosso alla porta... sì, gli argentini sanno decisamente come divertirsi. Lo deve aver imparato anche Tabarez che, se nella prima stagione fa breccia nel cuore dei tifosi del Boca, nella seconda entra definitivamente nella storia del club, che si arricchisce ulteriormente con il successo continentale in Copa Master...

Quando esci per una serata tranquilla ma poi il Boca vince il campionato.

Momento, momento, momento... che vi lascio con questo atroce dubbio? Che cosa ca**o è la Copa Master, si chiederanno i temerari che hanno resistito fino a questo punto. Ecco, si tratta dell'ennesima elucubrazione della CONMEBOL che a cavallo degli anni Ottanta e Novanta pensa bene di mettere di fronte le squadre vincitrici delle ultime quattro edizioni della Supercopa Sudamericana, ovvero un torneo che riuniva a sua volta le squadre che avevano vinto almeno una volta la Libertadores. Un particolare di dubbio interesse perfino per questo blog ma che non fa altro che aggiungere un altro po' di nostalgia alla storia di Oscar Washington Tabarez.

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