In questa puntata: Maradona al Flamengo, anzi no, al Boca, anzi no... Batistuta contro la municipale, le notti insonni di Cecchi Gori, una storia di giocatori in affitto, Tabarez in galera. Densità stimata: 3,7 aneddoti per centimetro quadrato.
Cambio vita, me ne vado in Argentina
Quella notte magica, quell’estate italiana però lascia qualcosa
di più di un’onorevole eliminazione, è l'inizio di un rapporto
simbiotico tra il calcio uruguayano e la nostra Serie A che in
qualche modo dura tuttora. Per qualche insondabile affinità elettiva
dovuta forse al mare, forse ai buoni uffici che Tonino Orrù e
Massimo Cellino potevano vantare presso il tentacolare procuratore
Paco
Casal, è a Cagliari che si forma la prima
“Little Montevideo” italiana. All'inizio dei Mondiali Fonseca non
fa in tempo a scendere in campo che ha già firmato il suo nuovo
contratto con i rossoblu. Nell’ambiente teso di Veronello per la
sconfitta subita con il Belgio, la trattativa per “Pepe” Herrera,
su cui perfino la
Juventus
aveva messo gli occhi, va per le lunghe. Alla fine, con qualche
giorno di ritardo Herrera potrà esternare tutta la sua gioia:
«Adesso
sono felice e capisco cosa ha provato Fonseca dopo la firma col
Cagliari. Il richiamo di Cagliari è stato troppo allettante per
lasciarsi sfuggire l'occasione, in Italia si gioca il miglior calcio
del mondo»
Qualche settimana e anche Francescoli si decide a sbarcare in
Sardegna. E il Maestro? Ovviamente attraccherà anche lui al porto di
Cagliari ma il suo sarà un viaggio un po’ più lungo. Prima tappa:
Buenos Aires.
Date le aspettative della vigilia, l’eliminazione agli ottavi
non lascia troppi margini per una riconferma che già prima del
Mondiale appariva improbabile visti gli attriti e le
incomprensioni
con una federazione che
El Maestro giudica troppo assente e
disorganizzata. In Sudamerica le sue doti tecniche ed umane però
sono note e non passa molto tempo prima che arrivi la chiamata di
Antonio Alegre, l’uomo a cui a metà anni Ottanta il presidente
argentino Raul Alfonsin aveva chiesto di salvare il Boca Juniors dal
fallimento. Un grande onore ma anche una grande responsabilità per
Tabarez che
racconta
come appena arrivato alla Bombonera si sentì dire:
«allenare
il Boca non è come essere Presidente della Repubblica, ma quasi.
»
All’inizio del 1991 il Boca è una squadra in salute ma che non
alza un trofeo importante da quasi dieci anni, per questo il
deludente ottavo posto rimediato nel Campionato Apertura 1991 ha
convinto la dirigenza a esonerare il tecnico Carlos Aimar. La rosa a
disposizione non è eccelsa ma questo di certo non spaventa
El
Maestro che più che campioni cerca allievi disposti ad imparare.
Tra questi allievi spicca un giovane attaccante con i capelli biondi.
Arriva dal River Plate dove l’allenatore Daniel Passarella lo ha
sommariamente bocciato dopo poche partite. Segna poco, spreca tanto
ma Tabarez non impiega molto tempo per capire che quel capellone che
Aimar fa giocare esterno è in realtà l’unico vero centravanti
della squadra. Il suo nome è Gabriel Omar Batistuta. La prima cosa
che fa Tabarez dopo il suo arrivo è spostarlo al centro
dell’attacco, mettendo al suo servizio la fantasia e la velocità
di Diego Latorre e Alfredo Graciani. Il
Maestro non rinuncia
al suo
amato
4-3-3, che con Batistuta si arricchisce di
quella punta centrale forte fisicamente che gli era mancata nel
biennio passato alla guida dell'Uruguay. La vera stella del Boca però
è Latorre che rispetto all’amico Bati ha avuto un inizio carriera
travolgente, esordendo in prima squadra a 18 anni e guadagnandosi per
primo l’ingombrante etichetta di erede di Maradona.
L’approccio di Tabarez con l’ambiente non può essere migliore
visto che vince subito due amichevoli contro i rivali del River. Il
campionato inizia con una vittoria in casa dell’Argentinos ma è
tre giorni dopo, alla Bombonera, che si consuma il battesimo del
fuoco. È la
prima
partita di Coppa Libertadores e di fronte c'è,
manco a dirlo, il River Plate. Agli ospiti bastano pochi minuti per
portarsi sul 2-0. Latorre accorcia le distanze ma neanche il tempo di
mettere la palla al centro che l’arbitro fischia un rigore per il
River. Si va negli spogliatoi sul 3-1, unica consolazione
l’espulsione di Astrada che lascia i suoi in dieci. All’11′
della ripresa una punizione in area è intercettata da Blas Giunta
che accorcia le distanze. Il Boca preme e a 20 minuti dalla fine un
triangolo tra Latorre e Marchesini mette in condizione quest’ultimo
di battere sul primo palo il portiere Passet. L'impresa è già
compiuta ma è il tiro sotto la traversa di Latorre a tempo quasi
scaduto che consegna la partita alla storia, che consacra
definitivamente Latorre come nuovo idolo della Bombonera e che fa
capire al pubblico argentino che quel gentiluomo venuto dalla sponda
opposta del Rio de la Plata è destinato a lasciare il segno.
 |
Fammi spazio. |
Il segno per la verità l’ha già lasciato con tre
Superclásicos
vinti in neanche tre mesi che gettano le basi di una delle strisce
più vincenti del Boca nella storica rivalità con il River. In due
anni saranno
12
le vittorie nel derby, con una sola sconfitta e
ben due affermazioni in Libertadores. Due mesi dopo il miracoloso 4-3
della Bombonera si gioca infatti il
ritorno
al Monumental dove Batistuta sale in cattedra. Prima si procura un
rigore che trasforma spiazzando il portiere, poi manca di un
centimetro una palla che è solo da spingere in rete, infine si fa
perdonare segnando di testa al termine un'azione fotocopia di quella
precedente. In campionato il Boca di Tabarez vola, con sette vittorie
nelle prime dieci partite, due soli goal subiti e nessuna sconfitta,
scava un profondo solco tra sé e le inseguitrici già a metà del
torneo. Il segreto? Pur non parlando lo spagnolo lo si può capire
abbastanza bene da questa vecchia
VHS
che si apre simbolicamente con le immagini del titolo del 1981,
l'ultimo del Boca fino a quel momento, l'unico di Maradona con la
camiseta gialloblu.
Tabarez si impegna fin da subito a trovare la posizione ideale per
ciascun giocatore, a tirare fuori il meglio di ognuno per mettere in
campo una squadra che sia sempre protagonista.
El Maestro
ammette, e nel 1991 non potrebbe fare altrimenti, di ispirarsi al
Milan di Sacchi, anche se tiene a precisare come per lui non fosse
Sacchi in sé l'elemento determinante.
«Per
me i veri protagonisti erano i Baresi, i Gullit, i Van Basten,
giocatori all'altezza della proposta [di gioco
ndr]
».
Se in campionato gira che è una
meraviglia, in coppa la squadra concede qualcosina, soprattutto
quando è costretta a giocare in altura. Due sconfitte in Bolivia non
pregiudicano il passaggio agli ottavi, dove il Boca supera nel doppio
confronto il Corinthians. Ai quarti c'è il Flamengo che all'andata
si impone al Maracanà e al ritorno si presenta alla Bombonera con il
ramoscello
d'ulivo. I giocatori brasiliani infatti entrano
in campo portando uno striscione su cui si legge:
«Maradona,
Flamengo te ama, hoy y siempre».
Ossequi che celano da una parte i tentativi dei brasiliani di
arruffianarsi l'ostile pubblico argentino e dall'altro quello di
mandare un messaggio a Diego, che pur sottoposto a squalifica in
Italia, avrebbe comunque potuto trovare una sistemazione temporanea
in Brasile. Gli applausi così guadagnati servono però a poco contro
Batistuta, che segna un rigore in apertura e Diego Latorre, la cui
doppietta ribalta il risultato dell'andata e porta il Boca in semifinale.
Una notte di ordinaria follia
Ultimo ostacolo prima di una finale che
manca del 1979 è rappresentato dai cileni del Colo-Colo. Forte della vittoria dell'andata,
El Maestro ostenta tranquillità alla vigilia di quella che appare come una normale semifinale di copppa ma che si
rivelerà essere uno dei momenti più drammatici della sua carriera. Le immagini della
partita,
oltre a rendere bene l'idea del delirio e della quantità di carta
igienica che si potevano trovare in uno stadio sudamericano 25 anni
fa, fanno capire come nel secondo tempo i giocatori del Boca abbiano
lasciato la testa negli spogliatoi. Al 20', alla destra dell'area del
Boca, si vedono due loschi figuri scambiarsi il pallone. Sembrano
guerrieri mapuche o forse fanno solo parte di una cover band degli
Europe. Il primo, quello che si accentra e scarica per il compagno, è
Gabriel Mendoza. È uno dei terzini sudamericani più promettenti dei
primi anni Novanta e oggi fa l'assessore allo sport a Vi
ña
del Mar. Il secondo, quello che supera due avversari e crossa in
mezzo ad altri due prima del goal di Ruben Martinez, è Marcelo
Barticciotto: argentino di Avellaneda, nato il 1° gennaio 1967 ma
registrato all'anagrafe un giorno prima per volere del padre che
contava di fargli guadagnare un anno da dedicare agli studi
universitari. Aveva fatto male i suoi calcoli però perché
Barticciotto lascia anzitempo l'università per seguire i suoi
interessi, tipo diventare una leggenda del Colo-Colo. Passano 120
secondi e Barticciotto fa 2-0. Una manciata di minuti e gli
attaccanti cileni passeggiano in area con i difensori che stanno a
guardare un colpo di tacco e un tiro di Jaime Pizarro che finisce di
poco fuori. Le poche volte che il Boca riesce ad uscire dalla propria
metà campo la palla cade presto preda dei difensori cileni che fanno
ripartire l'azione colpendo soprattutto da destra. Gli
xeneizes,
a cui in fondo basterebbe un goal per tenere viva la speranza di
qualificazione, sembrano prossimi alla resa quando Batistuta riceve
palla sul vertice dell'area e senza guardare mette in mezzo dove,
forse il caso, forse l'attenzione agli schemi di Tabarez, vuole che
sbuchi Latorre che di testa accorcia le distanze. Il goal dà un po'
di morale agli argentini che però hanno evidentemente meno benzina
degli avversari.
Quando lo spettro dei supplementari (sì, proprio
quello spettro lì) inizia ad aleggiare sul Monumental di Santiago,
Martinez e Ya
ñez del
Colo-Colo chiudono un triangolo che taglia a metà la difesa del
Boca. Ancor prima che Martinez possa battere a rete solo davanti al
portiere, il Boca Juniors, lo staff, i tifosi a casa, hanno già
tutti la mano alzata a chiamare il fuorigioco. Il guardalinee non
batte ciglio, il goal è regolare. È l'inizio della corrida. In
dieci minuti di ordinaria follia sudamericana succede quanto segue:
in campo entra chiunque; i giocatori rilasciano interviste nel mezzo
della partita; Tabarez aggredisce un uomo che risponde colpendolo al
volto; le forze dell'ordine circondano il portiere e capitano del
Boca, Navarro Montoya, mentre lancia il supporto di un microfono;
giocatori argentini si avventano su persone non meglio identificate;
Batistuta insegue un fotografo che lo respinge facendo roteare la sua
macchina fotografica come se avesse in mano delle bolas; ancora
Navarro Montoya, con i cani alle calcagna, si lancia su un
malcapitato finito a suon di calci volanti, gomitate e pugni in testa
da altri giocatori del Boca prima di uscire mestamente
dall'inquadratura; Batistuta urla a qualcuno un inequivocabile
«hijo
de puta, hijo de puta!»
per poi sferrare un calcio che finisce addosso a un carabiniere, il
tutto mentre un insanguinato Tabarez cerca di trattenerlo per la
maglia. La partita in qualche modo riprende ma dopo neanche un minuto
un giocatore del Boca viene colpito da un oggetto. Dalla porta si
vede un capellone che parte alla rincorsa, è il solito Navarro
Montoya che con i pantaloni visibilmente lacerati dal morso di un
cane, si precipita per protestare in faccia all'arbitro, prendere il
pallone e scagliarlo in tribuna, guadagnandosi l'indiscusso titolo di
idolo della serata. Se la caverà con un cartellino giallo. Quando si
dice arbitraggio all'inglese...
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Immaginate dieci minuti tutti così... |
La serata si conclude con i cileni
festanti che bruciano bandiere argentine e aggrediscono i tifosi
ospiti mentre squadra e staff del Boca vengono portati in
commissariato. A pagare il conto più salato è proprio
Tabarez
che viene arrestato e portato in cella insieme a un suo giocatore.
Anni dopo
Alfredo
Graciani spiegherà come tutto sia nato da un
uomo proveniente dalla panchina del Colo-Colo che avrebbe sbattuto a
terra un giocatore del Boca mentre si affrettava a rimettere la palla
al centro. Anche
Carlos
Navarro Montoya, l'assoluto protagonista di
quella sera, conferma che la causa scatenante non fu tanto il goal
subito, quanto le continue provocazioni dei giornalisti che ad ogni
goal entravano a centinaia sul terreno di gioco insultando i
giocatori argentini; ed è proprio
Patricio
Yañez,
che con il Colo-Colo vincerà quella Libertadores, a riconoscere che
se la stessa cosa fosse successa ai giorni nostri, il Monumental
sarebbe rimasto chiuso per molto, molto tempo.
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Rappresentazione allegorica della mattanza di Santiago. Olio su tela, 1991. |
Tabarez non diventa presidente, ma quasi
Archiviata la notte al gabbio, Tabarez
può concentrarsi solo sul campionato, dove la sua squadra avanza a
grandi passi verso un successo annunciato. Il 23 giugno 1991, al
Viejo
Gasometro (quello
Nuevo
non era stato ancora costruito) San Lorenzo e Boca Juniors sono fermi
sull'1-1. Sono i minuti finali e il Boca sta per battere una
punizione. Il telecronista si chiede se quella sarà l'ultima partita
in gialloblu di Diego Latorre, che in pratica è già della
Fiorentina. Non presta la minima attenzione invece a Batistuta, che è
lì di fianco e sta per sparare il pallone in curva. La partita si
chiude così, con il Boca che torna campione d'Argentina dopo dieci
anni e
El Maestro che non è Presidente della Repubblica, ma
quasi.
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Carlos Navarro Montoya e il capitano Juan Simon con prole. |
Una prima stagione da incorniciare
quella di Tabarez, macchiata però sul più bello dal beffardo
regolamento del campionato argentino che per la stagione 1990/91
prevede una finalissima tra le vincitrici del Torneo Apertura e
Clausura. La sera dell'8 luglio, mentre El Maestro si
arrovella su quale formazione mandare in campo per ribaltare l'1-0
subito all'andata contro il Newell's Old Boys del Loco Bielsa,
Batistuta si trova a 1400 km di distanza, a Santiago del Cile, dove
segna una doppietta contro il Venezuela nella partita di esordio
della Coppa America. Privo di Bati e Latorre, Tabarez è costretto a
improvvisare un attacco inedito formato da due giocatori acquistati
per l'occasione. L'ex Universidad Católica
Gerardo Reinoso e il brasiliano Gaucho arrivano infatti a Buenos
Aires pochi giorni prima dello spareggio con il Newell's al solo
scopo di rimpiazzare la coppia titolare impegnata con la Nazionale.
Una responsabilità non da poco per i due attaccanti in affitto che,
malgrado le poche ore trascorse alla Bombonera, sono ricordati con
affetto dalla tifoseria. Reinoso pareggerà addirittura il goal
dell'andata portando i suoi ai rigori che alla fine però premieranno
il Newell's, riconosciuto ufficialmente quale unico vincitore di quel
campionato.
La conferma
L'estate del
Maestro passa tra
la soddisfazione per il Clausura vinto e le inquietudini per un
futuro senza Latorre. L'erede designato di Diego è da tempo promesso
alla Fiorentina di Cecchi Gori che, dopo la partenza di Baggio, vuole
regalare alla Curva Fiesole un nuovo numero 10 da amare. Anche Bati
entra nell'affare ma è solo un comprimario. Per lui Cecchi Gori
prevede un altro anno al Boca, il vero colpo è Latorre, o così
dovrebbe essere. Nelle
notti
insonni passate davanti alla TV a guardare la Coppa America però si
insinua nel presidente viola l'atroce dubbio di aver sbagliato tutto.
Latorre non brilla, Batistuta trascina l'Argentina alla vittoria
finale e la sua quotazione aumenta ogni giorno che passa.
Indifferente ai 7 miliardi già sborsati, l'allenatore della
Fiorentina Lazaroni preannuncia che Latorre partirà dalla panchina,
la campagna abbonamenti langue e l'ambiente si sta abbacchiando.
Parte il contrordine:
Batistuta
deve arrivare subito, Latorre può attendere,
mentre a Buenos Aires si rischia la sommossa. Per non scontentare i
tifosi Cecchi Gori cede ai ricatti del Boca e del procuratore
Settimio Aloisio che oltre ai 12 miliardi per Batistuta, inserisce
nel conto un sovrapprezzo di 500.000 dollari per il cartellino di
Latorre, 400.000 dollari per il suo ingaggio e 2 miliardi e mezzo per
l'acquisto di Antonio Mohamed come risarcimento per la partenza
anticipata di Bati.
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Mohamed, Bati e Latorre. Cecchi Gori se li sognava anche con la Marini nel letto. |
Come è andata a finire da questa parte
dell'oceano lo sappiamo bene, proprio quest'anno il vice-Renzi
Nardella ha consegnato le chiavi della città di Firenze a Batistuta
che in quell'estate di 25 anni fa lascia il Boca contro il parere di
Tabarez.
«Attenti.
È difficile trovare un altro Batistuta»,
sono le parole con cui
El Maestro timidamente tenta di opporsi
alle leggi del mercato e allo strapotere dei club italiani,
consapevole che Mohamed, a Bati, avrebbe potuto al massimo pulirgli
le scarpe. Come spesso accade in Sudamerica, Tabarez si ritrova con
una rosa uscita sfigurata dalla sessione estiva di calciomercato. Con
la partenza di Graciani due terzi dell'attacco se ne sono andati,
lasciando al deluso Latorre, che sperava di cominciare subito la sua
avventura europea, il compito di segnare e far segnare la possente
punta paraguayana Roberto Caba
ñas.
A completare il tridente arriva dal Pe
ñarol
Sergio
Manteca Martinez, che Tabarez volle come attaccante di
scorta a Italia 90 e che al Boca diventerà un idolo. Un altro
raccomandato è Ruben Pereira, che dopo il buon Mondiale con
l'Uruguay e 13 dimenticabili presenze con la Cremonese, cede al
richiamo del
Maestro e lo raggiunge alla Bombonera. Il quadro
dei nuovi arrivi è poi completato dal rosso terzino Carlos
MacAllister e da un altro scarto della Serie A, ancora troppo fine
per una bestia esotica come Gustavo Neffa.
 |
Un saluto agli amici del River. |
Tra le apparizioni di Maradona
sulla tribuna della Bombonera e incontrollabili voci che vorrebbero
il ritorno di
Diego
al Boca per volere dell'imprenditore Mauricio
Macri, futuro presidente del club e attuale Presidente della
Repubblica, la difficile stagione della riconferma inizia un po' a
rilento con 4 punti nelle prime tre partite. La scarsa continuità
delle altre squadre però viene incontro a Tabarez che alla decima
giornata si presenta al
Superclásico
con un punto di vantaggio sui rivali del River Plate. Il Boca si fa
vedere spesso nell'area avversaria e all'inizio del secondo tempo
Sergio Martinez segna una gollonzo sugli sviluppi di un calcio di
punizione. Segue uno degli show più in voga di quegli anni sui campi
argentini, comprensiva di vertiginosa arrampicata sull'alambrado, la rete di separazione tra curva e terreno di gioco, maglie che volano via, perdite
di tempo dell'ordine del quarto d'ora con spruzzata di cartellini
finale. Se il Manteca
si sta già guadagnando la fama di trascinatore è però il portiere
Navarro Montoya a fare esplodere lo stadio quando al 66' spedisce
in corner un dubbio rigore concesso al River. L'1-0 regge fino alla
fine prolungando una striscia positiva che terminerà dopo otto
partite nelle quali il Boca non subisce goal. La coppia
Cabañas-Martinez
non fa rimpiangere troppo i protagonisti dell'anno prima ma quando il
traguardo è ormai raggiunto arrivano due sconfitte interne contro
Independiente e Deportivo Español
che rimettono tutto in discussione. Il River da parte sua è
ammirevole per quanto riesca a buttare alle ortiche le innumerevoli
occasioni di sorpasso che il calendario gli mette di fronte. Nel
corso di tre settimane nelle quali gli uomini di Tabarez racimolano
un solo punto, il River di Passarella riesce nell'impresa di non
guadagnarne neanche uno. L'11 dicembre contro il Platense il
match-ball è ancora incredibilmente tra le mani, anzi tra i piedi
del Boca e del più inatteso dei suoi protagonisti. È infatti uno
sconosciuto difensore di 19 anni, con meno di dieci presenze alle
spalle, che al 20' del secondo tempo si trova il pallone tra i piedi
e, un po' per gioco, un po' per incoscienza improvvisa una finta. Via
uno, via due, via tre, dribbling sul quarto e tiro sotto la traversa
prima che arrivi il quinto. Luis Medero segna un goal
bellissimo
con cui regala al Boca e al Maestro
Tabarez il secondo titolo consecutivo e a se stesso un momento che
vale un'onesta carriera passata tra Colon e San Lorenzo.
L'ultima di campionato contro il San Martin de Tucuman è il giorno della festa della Bombonera che come da consuetudine fa sfoggio di chilometri di carta igienica e tonnellate di papelitos che cadono a pioggia sul
circo equestre che va in scena dopo il goal di Claudio Benetti. Una storia simile a quella di Medero, un altro sconosciuto che nel momento più importante si guadagna il diritto di scalare l'
alambrado dal quale aizzare la gioia rabbiosa della curva, che in quell'istante aggiunge l'ennesima icona al pantheon del culto
xeneize. Di lì a poco la polizia entrerà in campo, ci saranno feriti tra gli stessi calciatori, la rete di protezione verrà divelta e cadrà addosso alla porta... sì, gli argentini sanno decisamente come divertirsi. Lo deve aver imparato anche Tabarez che, se nella prima stagione fa breccia nel cuore dei tifosi del Boca, nella seconda entra definitivamente nella storia del club, che si arricchisce ulteriormente con il
successo continentale in Copa Master...
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Quando esci per una serata tranquilla ma poi il Boca vince il campionato. |
Momento, momento, momento... che vi lascio con questo atroce dubbio? Che cosa ca**o è la Copa Master, si chiederanno i temerari che hanno resistito fino a questo punto. Ecco, si tratta
dell'ennesima elucubrazione della CONMEBOL che a cavallo degli anni
Ottanta e Novanta pensa bene di mettere di fronte le squadre
vincitrici delle ultime quattro edizioni della Supercopa
Sudamericana, ovvero un torneo che riuniva a sua volta le squadre che avevano vinto almeno una volta la Libertadores. Un particolare
di dubbio interesse perfino per questo blog ma che non fa altro che
aggiungere un altro po' di nostalgia alla storia di Oscar Washington
Tabarez.
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