mercoledì 17 dicembre 2014

Sorteggio o son desto?

Lunedì si è consumato l'ultimo rito pagano della nostra era, trasmesso in mondovisione in diretta su Italia 2 (Italia 2! Già questo basta per rendersi conto che c'è qualcosa di profondamente sbagliato in questa epoca), una serie di signori di mezza età dal passato più o meno glorioso si è avvicendata aprendo palline colorate e srotolando foglietti con impresso il nome di "aziende" dal fatturato milionario. Maestro della cerimonia: il solito uomo dalla pelata lucidissima, il misterioso ed etereo Gianni Infantino, oscuro burocrate svizzero che pare palesarsi al mondo sensibile solo quelle quattro o cinque volte all'anno in cui la UEFA si riunisce per poi tornare al regno di puro spirito al quale appartiene. Signori, sto parlando dei sorteggi di Champions League (sì, c'è poi quell'altra cosa lì... l'Europa League).
Come da copione sono seguite le consuete disquisizioni su quanto questi benedetti sorteggi siano stati favorevoli o no alle italiane. Per la cronaca, non mi pare sia andata benissimo ma guardando alla Champions mi sento di dire che poteva andare molto peggio. In mezzo al calderone dei discorsi che mi propinano dallo schermo ultrapiatto i vari telepredicatori del pallone, noto con un certo stupore che a dicembre ci sono ancora sei squadre italiane superstiti. Potrei sbagliarmi, ma erano parecchi anni che una simile coincidenza non si verificava. Sembrano tornati i vecchi tempi, con una squadra in Champions e ben cinque in Europa League, che da quando ha svestito i gloriosi panni della Coppa UEFA non se la incula più nessuno, almeno fino alle semifinali, quando diventa un "obiettivo importante". Scorro gli accoppiamenti: Inter-Celtic, Fiorentina-Tottenham, Roma-Feyenoord, tutte sfide di un certo fascino. Poi leggo il Napoli contro una squadra turca dal nome che trasuda sedicesimi di finale e il Torino. Il Toro in Europa, il Toro che ho sempre visto andare e venire dalla Serie B. Io il Torino in Europa non l'avevo mai visto prima di quest'anno, e vedere quelle maglie granata sotto i riflettori di uno stadio in Belgio, in Finlandia o che so io, mi ha fatto un certo effetto, manco fosse il Chievo. L'unico ricordo che ho di un Toro europeo è postumo, probabilmente frutto di una puntata di Sfide ed è quella fottuta sedia brandita da Mondonico a mo' di martello di Thor. In Champions, Juventus-Borussia Dortmund, tra l'altro sorteggiata da Kalle Riedle... so damn 90s!
La mia memoria a breve termine stava per archiviare velocemente tutte queste informazioni per consegnarle all'oblio che meritano, perse in mezzo alla miriade di notizie di poco conto a cui siamo esposti quotidianamente. Ad un certo punto però qualcosa è scattato, la lanterna della nostalgia che alberga nella mia corteccia prefrontale si è illuminata. Chiudo gli occhi e di botto mi ritrovo addosso una sgargiante tuta in acetato, scarpe a strappo con luci posteriori ai piedi, Bull Boys o L.A. Gear, non ricordo. È pomeriggio, ora di merenda, tra le mani ho dei Baiocchi Mulino Bianco mezzi sbriciolati mentre Batroberto ammicca da un televisore ultraspesso a tubo catodico.
A occhio e croce deve essere la metà degli anni Novanta, sono un vivace bimbetto infoiato di calcio e ho da poco appreso dalle brevi del televideo che ci sono sei squadre italiane impegnate al secondo turno delle coppe europee (che, tornando al triste presente, è la vera notizia). La Juventus difende l'onore del calcio italiano nella Coppa dei Campioni, da poco ribattezzata Champions League, che come tutti sappiamo vede affrontarsi 16 squadre vincitrici dei rispettivi campionati. Le altre italiane sono tutte al loro posto, ai sedicesimi, in pole position per aggiudicarsi il portaombrelli più prezioso d'Europa: la Coppa UEFA. D'altra parte si sa, le squadre italiane dettano legge in Europa e la Serie A è il traguardo sognato da centinaia di campioni stranieri che farebbero carte false pur di passare una grigia domenica pomeriggio all'Euganeo di Padova. In Coppa delle Coppe... già la Coppa delle Coppe, o Coppa Coppe come qualcuno azzardava a dire... beh la mia immaginazione non è così fervida e il suo ricordo sbiadisce ogni stagione che passa.
Avverto un crescente sconforto, la sensazione che il mio viaggio onirico stia giungendo al termine comincia a farsi largo. Appena il tempo di biascicare qualche parola sconnessa nel vano tentativo di trattenere quelle emozioni: ...Jonk ...Garcia Aranda ...T-T-Tankoooo! Improvvisamente mi ridesto e il vento gelido della Champions a 32 squadre torna a spazzare il mio cuore, già inaridito dall'epidemia incontrollata di scarpe fluo e dai sermoni scaturiti dall'ultimo tweet di Balotelli.
Allora è stato tutto un sogno, un irrazionale desiderio di fuga nel passato dettato dall'angosica del presente, dal peso delle scelte dell'età adulta, dal lunch match della domenica?! E il sorteggio? Era un sogno anche quello? No, quello no, ci sono veramente un'italiana in Champions e cinque in Europa League ma sarà tanto se ne arriveranno un paio ai quarti di finale.
Intanto la mia triste presa di coscienza è disturbata da un fastidioso brusio. Proviene dallo schermo di nuovo piatto del mio televisore, è Francesco Sole che mi ricorda che: non c'è Premium senza Play... ma PORCA PUTT**A!

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martedì 16 dicembre 2014

Tutti i rumeni del presidente (Corioni)

Nel periodo del Milan degli olandesi e dell’Inter dei tedeschi non tutti si ricorderanno che ci fu anche il Brescia dei rumeni. Sì, le facili ironie si sprecano, sorpattutto alla luce di risultati non proprio eccelsi, almeno in Serie A. Uno su tutti: l’orribile retrocessione patita nel 1995 con soli 12 punti, peggiore risultato nella storia della massima serie dall’introduzione dei 3 punti. A comandare la truppa nel 1991 fu chiamato Lucescu che guidò la squadra in un saliscendi continuo dalla Serie B alla Serie A con due promozioni e due retrocessioni in cinque anni.
1992: Lucescu festeggia la promozione. Gli addominali del giocatore a fianco sono stati aggiunti con Paint.

Asta milionaria per Hagi... su ebay.
Fu così che a inizio anni Novanta Brescia si trasformò in un sobborgo di Timisoara con giocatori rumeni noti e non che sbarcarono alla corte di Lucescu. Hagi, il Maradona dei Carpazi, vi trovò rifugio dopo un’esperienza non convincente al Real Madrid. La vedette del calcio rumeno giocò anche in Serie B raggiungendo la promozione nel 1994, antipasto di un mondiale da incorniciare che lo riporterà verso lidi più prestigiosi: Barcellona.
Poi c’era Raducioiu. Sbarcato sulla penisola dopo il mondiale italiano, era già stato al fianco di Lucescu nella Dinamo Bucarest che a fine anni Ottanta rivaleggiava con la Steaua e a cui strappò anche la vittoria in campionato nel 1990. Capitato in un anno dispari, quindi una stagione “no” per quel Brescia, sarà ricordato per un goal decisivo in un Brescia-Juventus 2-0. A fine stagione arrivò comunque in doppia cifra, risultato che gli valse l’ingaggio del Milan con cui si distinguerà come memorabile fenomeno parastatale. Lo ritroveremo in grande forma ai mondiali americani per poi vederlo dissolversi nell’oblio da cui era venuto. Si farà vivo intorno al 2000 per una poco felice minestra riscaldata.
Spallate di nostalgia con Raducioiu e Sensini.
Storia simile ma ancora più triste quella di Dorin Mateut. Arrivato nel novembre 1992, allora c'era il mercato a novembre, aveva la fama di bomber implacabile ma si rivelò a malapena una comparsa con 4 presenze e 0 goal. A Brescia avrebbe dovuto ricreare con Raducioiu la formidabile coppia che fece grande la Dinamo Bucarest negli anni Ottanta. Già Scarpa d'Oro nel 1988, convocato per i mondiali 1990, Mateut imboccò presto il viale del tramonto. Dopo la retrocessione con il Brescia si rifece parzialmente l'anno seguente contribuendo alla salvezza della Reggiana per poi tornare a casa.
Bei tempi quelli. Vero Dorin?
Vero scudiero, ma più che scudiero, uomo ombra di Lucescu fu Ioan Ovidiu Sabau. Scorrendo la sua carriera vediamo che era un punto fermo della Dinamo di Lucescu. Dopo i mondiali in Italia, dove la Romania non sfigurò, rimediò un contratto con il Feyenoord. Due anni in Olanda, giusto il tempo di diventare testimone di Geova, prima di riabbracciare il suo maestro nel 1992. Fu l’unico dei rumeni ad accompagnare Lucescu lungo tutta la sua avventura bresciana. Lo avrebbe seguito in capo al mondo, anche a Reggio Emilia, dove il dinamico duo si trasferì nel 1996. Come Raducioiu anche Sabau tornò a Brescia per una toccata e fuga ma Lucescu era ormai lontano. Gli ultimi anni sono stati più che dignitosi con annate importanti in patria e la nazionale ritrovata a fine carriera.
Sabau uomo immagine della EA Sports. Negli anni Novanta i bambini si divertivano con niente ma avevano sempre il sorriso sulle labbra.
Infine lui. Danut Lupu. È il nome meno prestigioso tra quelli presentati ma forse quello che rievoca i ricordi più vividi nei tifosi bresciani. Almeno questo è quello che si evince dal sondaggio che un paio di anni fa elesse il centrocampista rumeno come il peggior giocatore del secolo nella lunga storia del Brescia Calcio. Arrivò accolto tra sghignazzi e pernacchie e da quanto raccontano i testimoni si può capire il perché. Presentatosi in evidente sovrappeso, i compagni raccontano come il cibo fosse il suo punto debole. Uno dei tanti verrebbe da dire. Si narra che mangiasse da solo, in un tavolo tutto per lui, imbandito con frutta e verdura, lontano dai compagni ma soprattutto da spaghetti e bistecche. Ancora prima di arrivare, la fama sembrava averlo preceduto, non quella di estroso fantasista ma quella di ricettatore, qualifica guadagnatasi in Grecia, quando giocava nel Panathinaikos. In sua difesa va detto che come tutta la squadra fu travolto dalla disastrosa stagione dei 12 punti e che fu proprio lui a regalare una delle due vittorie di quell’anno con un tiro dalla distanza che stese la Reggiana.
Lupu oggi. O il giorno della presentazione al Brescia, o il giorno del processo per ricettazione e contrabbando. Non ricordo.
Non sarà stato il Milan olandese o l’Inter tedesca ma il Brescia rumeno allestito dal presidente Corioni credo che un posto nel cuore dei suoi tifosi ce l'avrà sempre. Quei giocatori, che comunque erano parte di quella che a detta di tutti fu una generazione d'oro per il calcio rumeno, un segno l'hanno lasciato, proprio lì, su quella bacheca impolverata, dove troneggia una romanticissima Coppa Anglo-Italiana.
Ditemi voi se i tifosi bresciani avrebbero potuto alzare una coppa a Wembley se non fosse stato anche per quei ragazzi venuti dal Danubio.

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domenica 14 dicembre 2014

Ángulo Inverso

Ángulo Inverso, come suggerisce il nome stesso, si propone di guardare al calcio con uno sguardo inedito, offrendo interpretazioni nuove e un punto di vista originale sul gioco più bello del mondo... No, no, no, nulla di tutto questo! Ora, l'inglese è una lingua che per forza di cose incontriamo sempre di più e sempre prima, chi durante la scuola dell'obbligo, chi con i videogiochi e Internet, Libero De Rienzo con i corsi De Agostini. Se la nostra esposizione all'inglese è ormai sempre più precoce e scientifica, quella allo spagnolo è ancora in gran parte affidata al caso e questo fa  sì che molte parole ci diventino familiari più tardi: ad esempio con l'Erasmus, per i fortunati che durante il loro anno di "studio" in Spagna avessero la fortuna di scovare qualche indigeno madrelingua tra i milioni di italiani che addobbano le strade di Barcellona e Valencia, con il cinema di Pedro Almodovar per i più intellettuali, con il cinema di Nacho Vidal per tutti gli altri.

Era davvero necessaria questa introduzione? Direi di no, cercavo solo il modo più tortuoso possibile per ricordare che c'è stato un tempo non troppo lontano, ma che pare distante anni luce, in cui lo spagnolo per tutti era realtà, democraticamente accessibile anche a quelle masse di plebei a cui gli abbonamenti a Pay-per-view, TV satellitare, digitale terrestre sono ed erano preclusi. Questo sogno di democrazia diretta, dal basso, corinthiana oserei dire, prendeva corpo ogni fine settimana a orari variabili tra il pomeriggio e la seconda serata su TMC e si chiamava Liga. Erano gli anni Novanta e la vecchia Telemontecarlo ci deliziava con gli incontri di Real Madrid, Barcellona, Atletico o con dirette da campi esotici, allora lo erano davvero, come il Riazor di La Coruña o il San Mamés di Bilbao. Per quei fortunati, mi auguro ci sia anche qualcuno di voi, che ricordano con nostalgia quei tempi di Liga liberalizzata, il livello succesivo all'aggiungere la 's' alla fine di ogni parola credendo di parlare spagnolo era rappresentato da locuzioni come tarjeta amarilla, tarjeta roja, entra y sale in occasione delle sostituzioni e appunto ángulo inverso. Ogniqualvolta c'era un replay eccoti spuntare quella curiosa espressione che non voleva significare altro che una ripresa dal lato opposto del campo.

Ecco, questo blog non vuole significare molto di più di quello che è, una collezione di ricordi e riflessioni su calcio e dintorni da parte di un tizio qualsiasi cresciuto tra gli anni Novanta e Duemila (se proprio vogliamo metterceli), cioè nell'era di mezzo, quell'era che non era più e che non era ancora, un'era che a mio modo di vedere rappresenta il momento di passaggio dal tempo degli eroi romantici di fango e polvere (di varia natura) a quello degli idoli a cristalli liquidi di oggi.

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