Necrologio 2019
Non c'è che dire, quest'anno me la sono presa comoda. Con le forze residue lasciatemi dal misero post pubblicato in questo 2019, rieccomi a pagare il giusto tributo a chi ha deciso di lasciare il rettangolo verde e fare ufficialmente ingresso nel nostro immaginario nostalgico.
Xavi
39 anni
C'erano Giovanni e Phillip Cocu al suo fianco la sera del 18 agosto 1998, quando Louis Van Gaal scelse il diciottenne Xavi Hernandez come regista di centrocampo nell'andata della finale di Supercoppa contro il Mallorca di Hector Cuper. Ad arbitrare l'incontro Antonio Lopez Nieto, praticamente un'era geologica fa. Basteranno sedici minuti al giovane Xavi per segnare il goal del momentaneo e inutile vantaggio blaugrana, i vent'anni successivi li impiegherà invece per entrare nella storia del calcio. Pareva aver smesso da molto più tempo, almeno dal 2015, anno in cui, messa in bacheca la quarta Coppa dei Campioni in carriera, ha lasciato la natia Catalogna per guadagnarsi gli ultimi meritati milioni tra le dune del deserto. L'ultimo incontro ufficiale però risale solo al maggio scorso, quando con la maglia dell'Al Sadd, che ha anche guidato in veste di allenatore nel recente Mondiale per Club, ha tagliato il traguardo delle 1133 partite tra i professionisti. Dotato di una visione di gioco e di un tocco fuori dal comune, per efficacia e palmares è forse il giocatore più forte degli ultimi 25 anni, primato che solo la posizione in campo occupata da Messi e Ronaldo hanno potuto togliergli. Personalmente lo associerò sempre al coetaneo Gabri, suo compagno ai tempi di Van Gaal e nelle giovanili spagnole. L'avvento di Guardiola sulla panchina del Barça segnerà lo snodo di due carriere che dalla Masia sembravano avere seguito strade parallele: nell'inestricabile trama di passaggi in cui si esplicherà la rivoluzione del tecnico catalano Xavi troverà il suo habitat naturale, compiendo quel salto di qualità nel quale, a 26 anni, non tutti credevano più. Gabri invece preferirà migrare verso una scuola calcista altettanto nobile come l'Ajax ma con meno fortuna, infatti oggi allena la Nazionale di Andorra.
Andrea Barzagli
38 anni

Claudio Marchisio
33 anni
Inserirlo in questa rubrica così presto fa uno strano effetto, lo faccio con un po' della tristezza che deve aver accompagnato Claudio nella decisione di lasciare il calcio a 33 anni. Il "Principino" è stato uno dei rari casi di juventinità che, diagnosticata nei primi anni di vita, sia giunta a piena maturazione. Pensateci: non sono troppi i giovani del vivaio juventino che dalla trafila delle giovanili sono riusciti a raggiungere i massimi traguardi vestendo la maglia bianconera, diventandone simbolo e capitano per giunta! Non siamo mica a Roma dopotutto. Complice del curioso caso di Claudio Marchisio la retrocessione scaturita da Calciopoli che obbliga il neo-tecnico Deschamps a puntare su giovani del vivaio come De Ceglie, Giovinco e Marchisio, subito tra i titolari dopo gli assaggi di prima squadra concessisgli da Capello. Dopo una promozione annunciata ma vissuta comunque da protagonista, Marchisio parte insieme all'amico Giovinco per l'anno di apprendistato a Empoli dove Gigi Cagni e Alberto Malesani faranno le veci di Virgilio nel suo prima anno di Serie A. La retrocessione non scoraggia la dirigenza juventina che lo riporta a casa per farne il nuovo Tardelli. Ranieri, Ferrara, Del Neri, nutrono tutti stima per quel ragazzo così serio e attaccato alla maglia che finisce inevitabilmente per conquistare anche le fiducia di Lippi che lo convoca per il Mondiale in Sudafrica. Tra le macerie che Conte trova al suo arrivo, Marchisio è uno dei pochi pilastri sul quale poter costruire il suo progetto tutto movimento e velocità. Insieme a Vidal costituisce il cordone di sicurezza entro cui il genio di Pirlo può esprimersi al meglio, al contempo però non disdegna gli ineserimenti offensivi, eredità dei suoi esordi da attaccante ed esaltati dal gioco di Conte. La finale dell'Europeo 2012 certifica come ci si trovi davanti a uno dei centrocampisti più forti d'Europa. Il suo regno al centro dello schieramento e del progetto Juve, a dispetto del titolo nobiliare affibbiatogli, comincia a scricchiolare già l'anno seguente, quando a Torino atterra un ragazzone francese che Marotta è riuscito a prendere a parametro zero dal Manchester United: un certo Paul Pogba. Gl infortuni sempre più frequenti di Marchisio vanno di pari passo con la crescita progressiva di Pogba che già nella seconda parte della sua prima stagione convince Conte a schierarlo con regolarità. L'arrivo di Allegri non inverte la rotta e Marchisio è sempre più considerato il 12° uomo bianconero, ruolo che egli veste con la consueta eleganza. Messo alla porta dal corso degli eventi, un infortunio di Pogba e la necessità di fare rifiatare l'attempato Pirlo permettono a Marchisio di rientrare dalla finestra e cimentarsi con nuove soluzioni tattiche che gli fanno vestire i panni una volta del regista arretrato, un'altra del trequartista. È nella stagione della sua prima finale di Champions che Marchisio dimostra ancora di più la sua grandezza. Punto fermo di un'Italia che il nuovo CT Conte vuole plasmare a immagine e somiglianza della sua Juve, solo un infortunio al ginocchio nega a Marchisio la gioia di prendere parte alla sorprendente spedizione azzurra ad Euro 2016. Gli infortuni però si sommano e la concorrenza nel centrocampo della Juve globale di Andrea Agnelli erodono gradualmente lo spazio concesso al "Principino" che, valigie in mano, sulla soglia della porta di quella che era stata per 25 anni la sua casa, si leva un sassolino dalla scarpa gettando luce sul clima creatosi dopo l'arrivo di CR7 a Torino. Un anno allo Zenit, l'ennesimo infortunio e poi un ritiro del quale avrei preferito non scrivere così presto.
Samuel Eto'o
38 anni

Petr Cech
37 anni

Wesley Sneijder
35 anni

Arjen Robben
35 anni

Robin Van Persie
36 anni
L'ennesima ferita di un'emorragia nostalgica che negli ultimi tre anni ha privato l'Olanda di Kuyt, Van Der Vaart, Sneijder, Robben e Van Persie. Quasi 200 partite e 100 goal: questi i numeri di quello che dalle parti di North London era considerato l'erede naturale di Dennis Bergkamp. Arrivato all'indomani della storica stagione degli "Invincibili", Van Persie, oltre che la nazionalità e il fiuto per il goal, condivideva con il suo capitano anche l'amore dei fans che in lui avevano trovato il simbolo capace di portare avanti l'eredità dei campioni che, anno dopo anno, abbandonavano l'Emirates Stadium. Nel 2012 i 30 goal in campionato e i 5 segnati in Champions fanno di Van Persie uno dei pezzi pregiati del mercato. Tornando a quell'estate Van Persie parla della relazione con l'Arsenal come quella con una sposa che dopo otto anni sente svanire l'interesse verso il suo amato. Il fatto che al posto dell'amorevole moglie ci fosse il direttore generale dell'Arsenal Ivan Gazidis e la sua proverbiale spilorceria fa capire quale fosse la reale natura della crisi. Combattuto tra le due sponde di Manchester, Van Persie consola le sue pene d'amore in un quadriennale da 8 milioni di euro gentilmente offertogli dallo United. È l'ultima fatica di Sir Alex Ferguson, con cui Van Persie vince il campionato bissando il titolo di capocannonniere dell'anno prima. Nella sua prima stagione all'Old Trafford realizza anche quello che sarà eletto il goal più bello della Premier. Un anno più tardi, ai Mondiali in Brasile, segna invece quello che è probabilmente il suo goal più celebre, il colpo di testa in tuffo con cui l'Olanda trova il momentaneo pareggio nel 5-1 inflitto alla Spagna. Varcata la soglia dei trent'anni Van Persie deve aver accettato i consigli del suo ex compagno Dirk Kuyt, del quale sembra seguire pedissequamente le orme: prima l'esilio dorato al Fenerbahce e poi il ritorno a casa al Feyenoord, dove la mia memoria lo colloca tuttora nell'attacco di Fifa 2004, accanto proprio a Kuyt e all'"indimenticabile" Danko Lazovic.
Fernando Torres
35 anni

Sergio Pellissier
40 anni
Dici Pellissier, dici Chievo. Quello dei miracoli, anche se a dire il vero Sergio arrivò nella seconda stagione disputata dai "Mussi" in Serie A, dopo 14 goal segnati in C1 con la Spal. Acquistato per fare da riserva a bomber Marazzina, rimasto orfano del compagno di reparto Corradi, partito per l'Inter, Del Neri gli concederà 25 gettoni nei quali metterà a segno 5 goal. Passano le stagioni e il Chievo è sempre lì, lo stupore lascia spazio all'indifferenza nella quale Pellissier accumula partite e goal. Nel 2006 le sentenze di Calciopoli fanno balzare il Chievo al quarto posto e così arriva anche la soddisfazione di giocare la massima competizione europea, seppure ai preliminari. Ritrovata la Serie A dopo un anno di purgatorio, nei tre anni successivi Pellissier raggiunge sempre la doppia cifra, guadagnandosi anche una convocazione in Nazionale con goal in un'amichevole contro l'Irlanda del Nord. Lascia quest'anno dopo una polemica sorta attorno alle sue simpatie politiche e una retrocessione ma soprattutto dopo il diciasettesimo anno consecutivo a segno con la maglia gialloblu. Nel frattempo è già a processo per una presunta truffa immobiliare. Di diritto tra i miti di provincia.
Consuete menzioni d'onore per tutti gli altri che non ho inserito per ragioni di tempo e spazio: David Villa, qui all'ultima staffetta con Fernando Torres, Peter Crouch (la sua robot dance meritava qualche riga), il brasiliano Juan, Patrice Evra, la cui carriera social promette di durare a lungo, John O'Shea, uno di quelli che ho continuato per anni a credere giovane, Yossi Benayoun, Ashley Cole e, udite udite, Siyabonga Nomvethe, mitologico attaccante sudafricano transitato in Italia nei primi anni Duemila, che alla soglia dei 42 anni ha lasciato il calcio con il record di goal segnati nella massima serie sudafricana.
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