Gigi, Seba e i Frosties
Una storia di portieri, cereali glassati e figurine NBA degli anni Novanta, perché all'indomani del nuovo record di Gigi non c'è niente di più nostalgico che celebrare quello vecchio di Seba.
Era visibilmente emozionato Sebastiano Rossi, ospite negli studi Mediaset domenica scorsa. Invitato apposta per assistere in diretta al crollo del suo record di imbattibilità, c'era qualcosa di triste nel morboso indugiare della telecamera sul volto dell'ex portierone del Milan. Ho provato quel misto di brivido voyeristico e pena che si ha di fronte a certi video di Diprè nell'osservare la maschera di malcelata indifferenza che "Superseba" ha sfoderato nel momento in cui il telecronista ha annunciato ciò che già da qualche giorno tutti sapevano sarebbe successo. Buffon che inanella l’ennesimo alloro della sua straordinaria carriera, arrivando dove nessuno sembrava potesse più arrivare.
973
minuti. Sono quasi 11 partite senza subire goal e sono 22 anni dal
record di Sebastiano Rossi, uno che nonostante le caterve di titoli
vinti con il “Milan degli invincibili”, non è certo il primo della lista
quando si tratta di celebrare i campioni di quella squadra. 929 minuti. Sono poco più di 10 partite senza subire goal e saranno una ventina d’anni da quella confezione di Frosties.
In
piena coerenza con il suo marketing fatto di giovani dediti a sport e
attività fisica, a metà anni Novanta la Kellogg’s decise di accompagnare
quei cereali ricolmi di zucchero, glassa e cacao con dei gadget a tema
sportivo. La tigre Tony, la scimmia Coco e la altre mascotte che
popolavano la nostra credenza erano lì ad ammiccare quando da
bambini aprivamo quel mobile sempre troppo alto e affondavamo le mani
alla
ricerca di quelle stilosissime figurine dell’NBA. Lucide e spesse,
avevano qualcosa di diverso anche rispetto alle mitologiche Score ‘92.
Recavano le effigi di eroi nuovi, esotici, che per qualche milione di
dollari, ogni domenica mattina, volteggiavano nell'aria al ritmo della
parlantina di Guido Bagatta, cantore di quegli uomini straordinari
capaci di alternare la grazia di una ballerina russa alla violenza di
Mike Tyson. Indossavano sgargianti magliette senza
maniche, circondati da riflettori e flash, riuscivano sempre a farsi
ritrarre nella posizione più plastica possibile e al posto della pelata
di un Attilio Lombardo o del monociglio di Beppe Bergomi, a noi così
familiari, facevano sfoggio di
capelli multicolore e occhiali da sci.
Meraviglioso... ma non
sono qui per parlare del dolore che ancora provo al pensiero di dove
possa essere finita la mia card dell’”Ammiraglio” David Robinson, bensì
per ripercorre in qualche riga i 20 anni che sono passati da quando
un’anonima confezione di Frosties mi fece il dono della conoscenza. Da
quando quel forziere di cartone blu, invece di figurine o di qualche
cianfrusaglia di plastica, seppe lasciarmi una verità rimasta intatta per
20 anni, fino a domenica scorsa.
Un semplice cartoncino: da
un lato una serie di domande a carattere sportivo, dall’altra un
ingegnoso sistema con una finestrella che permetteva di vedere solo una
risposta alla volta. Gli diedi uno sguardo, i miei occhi scorsero
distrattamente domande e risposte il cui ricordo non sarebbe durato più
di qualche secondo. Tutte tranne una.
Chi stabilì il record di imbattibilità della Serie A?
Sebastiano Rossi del Milan, rimasto imbattuto per 929 minuti nella stagione 1993/94.
929 MINUTI. Non
so cosa possa essere stato ma non sono più
riuscito a levarmelo dalla testa, quel numero palindromo mi è rimasto
impresso nella memoria più di molti altri numeri che mi sarebbero stati
di gran lunga più utili durante gli anni di scuola. Ogni volta che si
parlava di imbattibilità, gli
impulsi elettrici che partivano dai miei recettori sensoriali
conducevano
irrimediabilmente alla sinapsi della nostalgia e il risultato era sempre
lo stesso: 929. Come un record di salto in alto frutto dei progressi della medicina sportiva della DDR, quel numero
mi sembrava fatto per durare in eterno. Solo un portiere straordinario
avrebbe potuto scalfirlo. C’è voluto un Gigi Buffon, senza troppi forse
il più grande di
sempre, per infrangere quel record
e i miei ricordi di bambino.
Domenica scorsa non ho potuto che provare piacere
per l’ennesimo traguardo di un campione assoluto che sarà ricordato
come l’enfant prodige di Parma, quello con la maglia di Superman, quello che ha ereditato da Del Piero lo status di bandiera della Juve, quello che si è giocato una finale europea con
il Barcellona dopo essere sceso in B a giocare davanti ai degenti dell'ospedale di Crotone, quello che alzò la Coppa del
Mondo a Berlino. Così come negli occhi di Sebastiano Rossi, ho
intravisto però un velo di malinconia nel passaggio di consegne avvenuto
in diretta TV
tra chi quel record lo ha custodito gelosamente negli ultimi vent'anni e
chi se n'è appropriato quasi come fosse un atto dovuto da parte del più
forte di tutti. Per Gigi il record finirà probabilmente per
rappresentare la ciliegina sulla torta, poco più che un'appendice in una
carriera straordinaria fatta di successo e pubblico riconoscimento,
ottenuta a scapito di chi, invece, quel record l’ha
incarnato. Nonostante gli scudetti e la Champions vinta (alla faccia di
Gigi), Seba è stato soprattutto quei 929 minuti. Complice la grandezza dei suoi
contemporanei, Seba viene sempre dopo Baresi, Maldini, Savicevic e gli
altri eroi del Milan, così come è sempre venuto dopo Zenga, Pagliuca,
Peruzzi nelle gerarchie dei CT.
La curva cantava "Superseba", è vero, ma
se ieri qualche ragazzino ha
imparato chi fosse Sebastiano Rossi lo dobbiamo a quei 929 minuti e lo
dobbiamo a Gigi Buffon, che ha saputo raggiungerlo e superarlo, mandando
in soffitta la nostalgia di oggi per costruire quella di domani.
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