martedì 22 marzo 2016

Gigi, Seba e i Frosties

Una storia di portieri, cereali glassati e figurine NBA degli anni Novanta, perché all'indomani del nuovo record di Gigi non c'è niente di più nostalgico che celebrare quello vecchio di Seba.


Era visibilmente emozionato Sebastiano Rossi, ospite negli studi Mediaset domenica scorsa. Invitato apposta per assistere in diretta al crollo del suo record di imbattibilità, c'era qualcosa di triste nel morboso indugiare della telecamera sul volto dell'ex portierone del Milan. Ho provato quel misto di brivido voyeristico e pena che si ha di fronte a certi video di Diprè nell'osservare la maschera di malcelata indifferenza che "Superseba" ha sfoderato nel momento in cui il telecronista ha annunciato ciò che già da qualche giorno tutti sapevano sarebbe successo. Buffon che inanella l’ennesimo alloro della sua straordinaria carriera, arrivando dove nessuno sembrava potesse più arrivare.

973 minuti. Sono quasi 11 partite senza subire goal e sono 22 anni dal record di Sebastiano Rossi, uno che nonostante le caterve di titoli vinti con il “Milan degli invincibili”, non è certo il primo della lista quando si tratta di celebrare i campioni di quella squadra. 929 minuti. Sono poco più di 10 partite senza subire goal e saranno una ventina d’anni da quella confezione di Frosties.  

In piena coerenza con il suo marketing fatto di giovani dediti a sport e attività fisica, a metà anni Novanta la Kellogg’s decise di accompagnare quei cereali ricolmi di zucchero, glassa e cacao con dei gadget a tema sportivo. La tigre Tony, la scimmia Coco e la altre mascotte che popolavano la nostra credenza erano lì ad ammiccare quando da bambini aprivamo quel mobile sempre troppo alto e affondavamo le mani alla ricerca di quelle stilosissime figurine dell’NBA. Lucide e spesse, avevano qualcosa di diverso anche rispetto alle mitologiche Score ‘92. Recavano le effigi di eroi nuovi, esotici, che per qualche milione di dollari, ogni domenica mattina, volteggiavano nell'aria al ritmo della parlantina di Guido Bagatta, cantore di quegli uomini straordinari capaci di alternare la grazia di una ballerina russa alla violenza di Mike Tyson. Indossavano sgargianti magliette senza maniche, circondati da riflettori e flash, riuscivano sempre a farsi ritrarre nella posizione più plastica possibile e al posto della pelata di un Attilio Lombardo o del monociglio di Beppe Bergomi, a noi così familiari, facevano sfoggio di capelli multicolore e occhiali da sci.

Meraviglioso... ma non sono qui per parlare del dolore che ancora provo al pensiero di dove possa essere finita la mia card dell’”Ammiraglio” David Robinson, bensì per ripercorre in qualche riga i 20 anni che sono passati da quando un’anonima confezione di Frosties mi fece il dono della conoscenza. Da quando quel forziere di cartone blu, invece di figurine o di qualche cianfrusaglia di plastica, seppe lasciarmi una verità rimasta intatta per 20 anni, fino a domenica scorsa.

Un semplice cartoncino: da un lato una serie di domande a carattere sportivo, dall’altra un ingegnoso sistema con una finestrella che permetteva di vedere solo una risposta alla volta. Gli diedi uno sguardo, i miei occhi scorsero distrattamente domande e risposte il cui ricordo non sarebbe durato più di qualche secondo. Tutte tranne una.

Chi stabilì il record di imbattibilità della Serie A?

Sebastiano Rossi del Milan, rimasto imbattuto per 929 minuti nella stagione 1993/94.

929 MINUTI. Non so cosa possa essere stato ma non sono più riuscito a levarmelo dalla testa, quel numero palindromo mi è rimasto impresso nella memoria più di molti altri numeri che mi sarebbero stati di gran lunga più utili durante gli anni di scuola. Ogni volta che si parlava di imbattibilità, gli impulsi elettrici che partivano dai miei recettori sensoriali conducevano irrimediabilmente alla sinapsi della nostalgia e il risultato era sempre lo stesso: 929. Come un record di salto in alto frutto dei progressi della medicina sportiva della DDR, quel numero mi sembrava fatto per durare in eterno. Solo un portiere straordinario avrebbe potuto scalfirlo. C’è voluto un Gigi Buffon, senza troppi forse il più grande di sempre, per infrangere quel record e i miei ricordi di bambino.

Domenica scorsa non ho potuto che provare piacere per l’ennesimo traguardo di un campione assoluto che sarà ricordato come l’enfant prodige di Parma, quello con la maglia di Superman, quello che ha ereditato da Del Piero lo status di bandiera della Juve, quello che si è giocato una finale europea con il Barcellona dopo essere sceso in B a giocare davanti ai degenti dell'ospedale di Crotone, quello che alzò la Coppa del Mondo a Berlino. Così come negli occhi di Sebastiano Rossi, ho intravisto però un velo di malinconia nel passaggio di consegne avvenuto in diretta TV tra chi quel record lo ha custodito gelosamente negli ultimi vent'anni e chi se n'è appropriato quasi come fosse un atto dovuto da parte del più forte di tutti. Per Gigi il record finirà probabilmente per rappresentare la ciliegina sulla torta, poco più che un'appendice in una carriera straordinaria fatta di successo e pubblico riconoscimento, ottenuta a scapito di chi, invece, quel record l’ha incarnato. Nonostante gli scudetti e la Champions vinta (alla faccia di Gigi), Seba è stato soprattutto quei 929 minuti. Complice la grandezza dei suoi contemporanei, Seba viene sempre dopo Baresi, Maldini, Savicevic e gli altri eroi del Milan, così come è sempre venuto dopo Zenga, Pagliuca, Peruzzi nelle gerarchie dei CT.

La curva cantava "Superseba", è vero, ma se ieri qualche ragazzino ha imparato chi fosse Sebastiano Rossi lo dobbiamo a quei 929 minuti e lo dobbiamo a Gigi Buffon, che ha saputo raggiungerlo e superarlo, mandando in soffitta la nostalgia di oggi per costruire quella di domani.

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martedì 1 marzo 2016

Avere trent'anni

Non piangete per me, ho già trent'anni.
Oh, sarà l'età che avanza, sarà che con questo blog tento disperatamente di trattenere tra le mani i granelli di polvere di questa perfida clessidra, sarà "sto buco dell'azoto", ma a me gli ultimi anni sembrano essere passati a velocità doppia rispetto a quelli precedenti. Non ho fatto in tempo a cancellare dal telefonino la suoneria "Materazzi ha fatto gol" che buona parte dei nostri campioni del mondo hanno appeso le scarpe al chiodo, mentre i più giovani tra loro hanno già scollinato la fatidica soglia dei 30. 

Nel calcio come nella vita, i 30 anni hanno sempre rappresentanto un check-point, un traguardo al di là del quale qualcosa cambia nel modo in cui gli altri ci vedono e nel modo in cui noi vediamo noi stessi. A 30 anni un ragazzo smette di uscire tutte le sere, smette di comprare birre a buon mercato dal "paki" (che poi è quasi sempre un "bangla") sotto casa, smette di fare le 6 di mattina seduto per terra in piazza, in attesa che i mezzi del servizio di igiene urbana lavino le strade e spazzino i vetri delle bottiglie di birra a buon mercato comprate dal "paki" (che poi è quasi sempre un "bangla") sotto casa qualche ora prima. A 30 anni smette, o dovrebbe smettere. Invece di vivere come se l'università non fosse mai finita dovrebbe avere, o almeno mostrare, una certa maturità. Via "kefieh" e pantaloni larghi, dentro camicie e cappottoni lunghi, i profili Facebook relegano i link balordi e demenziali alle chat private e le bacheche si riempiono di articoli di Internazionale e foto in posa professionale che sembrano voler dire: ehi tu, hai 30 anni. Hai finito di cazzeggiare?!

Così a 30 anni un calciatore smette di essere giovane e diventa automaticamente, indiscutibilmente, vecchio. Sì, dal giorno alla notte. Smette di essere la promessa che è stato a inizio carriera, smette di dover maturare in attesa di esprimere il suo reale potenziale e comincia la sua parabola discendente. Cambia il modo in cui compagni e dirigenti cominciano a guardarlo. Capitano, uomo-spogliatoio, 12° capace di cambiare la partita in corso, queste sono le caselle entro le quali a 30 anni devi saperti inserire, costantemente a caccia di conferme per spuntare quell'ultimo contratto nel calcio che conta, prima, per i più fortunati, dell'esilio dorato in qualche campionato acerbo ma con tanti soldi da spendere. Per tutti gli altri invece c'è l'anonimato delle serie inferiori, l'oblio di un futuro da allenatore delle giovanili, al massimo cinque secondi di una nuova ed effimera notorietà, il tempo di un: ma dai, adesso fa il commentatore della Lega Pro su Rai Sport... sticazzi, fammi vedere cosa fanno su DMAX.

Questo è quello che è accaduto e continuerà ad accadere. Sta accadendo anche in questo momento, centinaia di migliaia di ex giovani di tutte le categorie sociali stanno compiendo 30 anni dicendo addio alle ultime possibilità di assunzione per qualsivoglia posto di lavoro e migliaia di calciatori, famosi e non, stanno ripensando alle loro carriere, a quello che hanno dimostrato e a quello che hanno buttato, consapevoli che anche per loro il tempo è passato troppo in fretta.

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