Il primo Clásico non si scorda mai
La quarantea continua, il tempo non manca: godetevi questo Clásico perché potrebbe essere l'ultimo dell'anno.
Ho sempre considerato la stagione 1994/95 come quella del mio esordio calcistico, se così possiamo dire. Rapito da quel caleidoscopio di colori che giungevano dall'altra parte del mondo ad orari improbabili, furono l'estate dei Mondiali americani e l'azzurro saturo della maglia di Roberto Baggio a donarmi per la prima volta una sorta di coinvolgimento emotivo per il pallone. All'inizio della successiva stagione calcistica quindi a mio nonno non pareva vero di poter contare su quell'unico nipote maschio che aveva tanto atteso che divenisse tale per poterlo finalmente introdurre alle gioie del calcio, delle scommesse e del vino da tavola.
Ricordo che iniziai a seguire trasmissioni come 90° Minuto e Domenica Sprint alla costante ricerca delle immagini di quelle partite di cui sentivo solo parlare. Sprovvisto di abbonamenti e decoder con i quali la fu Tele+ aveva blindato il calcio all'epoca dei primi contratti per i diritti televisivi, la mia unica alternativa ai frattali criptati della pay tv durante le dirette della Serie A erano i campionati stranieri trasmessi dalla vecchia Telemontecarlo. Chi, come me, è nato alla fine degli anni Ottanta, comprenderà quindi come sia stato facile sviluppare una confidenza quasi maggiore con la Liga spagnola che con il campionato di casa nostra.
Il mio primo Clásico arriva in coda a una lunga vacanza natalizia, nell'ultima notte di libertà concessa a un bambino di 7 anni che lotterà con ogni mezzo necessario per rimanere sveglio fino a tardi nell'illusione di poter ritardare l'inevitabile ritorno a scuola. È il 7 gennaio 1995 e al Santiago Bernabeu si affrontano due squadre con il morale agli antipodi. Il Real Madrid, dopo 15 partite, guida il campionato a pari merito con il Saragozza (!) ed è reduce da un 5-0 rifilato in trasferta al Valladolid. Di contro il Barcellona, campione di tutto nei quattro anni precedenti, è in leggero affanno, con tre punti di ritardo dai rivali in un campionato dove la vittoria ne vale ancora due e alle prese con un caso che sta destabilizzando lo spogliatoio.
È infatti da inizio stagione, o meglio dai giorni del ritiro estivo, da quando cioè Romario ha ripetutamente ritardato il ritorno in Spagna dopo la vittoria del Brasile ai Mondiali, che l'ambiente blaugrana è appeso agli umori del suo campione del Mondo. L'arrivo a Barcellona del presidente del Flamengo Kleber Leite non fa che alimentare le voci che vogliono Romario stufo dell'Europa, del Barcellona e di Johan Cruyff, il maestro di calcio e di vita che il Baixinho non ha mai chiesto e che sta rendendo la sua vita sulle ramblas sempre meno spensierata. L'operazione del Flamengo, che vede una cordata di sponsor e il Comune di Rio de Janeiro unire gli sforzi e dissanguarsi per strappare l'ultimo FIFA World Player a un top club europeo suona fantascientifica già all'epoca ma riesce comunque a scomodare lo stesso Cruyff che, pressato dalla stampa, getta acqua sul fuoco e annuncia l'attaccante brasiliano, autore fin lì di soli quattro goal in 12 partite, tra i titolari che scenderanno in campo al Bernabeu.
Nei minuti che precedono il fischio di inizio ci si accorge subito che qualcosa non quadra. Il Barça, che ritarda non poco il suo ingresso in campo, si dispone infatti in un insolito 4-5-1 e schiera un solo attaccante che guarda caso non è Romario. Il Real di Valdano, malgrado le assenze di Redondo e Michel, si mostra al contrario bello spregiudicato con Amavisca (nome che nelle mie orecchie risuona ancora pronunciato dalla voce metallica di Ilario Castagner) esterno aggiunto alle due punte di ruolo Raul e Zamorano.
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Le formazioni (fonte: thehardtackle.com) |
È un Clásico diverso da quello a cui siamo abituati oggi, lo si vede dai dettagli. Tanto per cominciare ci troviamo in un Bernabeu stracolmo dei 106.000 spettatori che poteva contenere prima delle ristrutturazioni dell'era Sanz e Perez. Le maglie indossate dalle due squadre, bellissime, si sottraggono ancora al duopolio Adidas-Nike che si instaurerà negli anni a venire e danno lustro a marchi oggi considerati di seconda fascia come Kappa, che veste un Barcellona ancora senza main sponsor, o praticamente defunti, come la Kelme che stampa le sue caratteristiche zampine viola sulla camiseta blanca del Real Madrid. Sui cartelloni a bordo campo c'è ampio spazio per aziende locali: i materassi Flex, il Gin Larios e per una nostalgicissima Kodak. I papelitos sparsi sul terreno di gioco donano infine un'atmosfera quasi sudamericana a un evento sportivo e culturale che appare più provinciale ed esotico rispetto alla patina di glamour che lo avvolge oggi.
Un Clásico più spagnolo e meno globalizzato che si apre con un Real arrembante che mette subito pressione alla difesa avversaria. Quando il Barcellona si affaccia dalla parte opposta del campo lo fa nel peggiore dei modi. Guardiola canna subito un passaggio in verticale, Hagi prova invece un tiro da distanza siderale che riesce a sorprendere il portiere Buyo solo per la sua bruttezza. Interrotto il primo vero possesso del Barcellona, il Real Madrid si presenta sulla tre quarti con Laudrup che, vinto un rimpallo dopo il primo tentativo di verticalizzazione andato male, riesce ad avanzare quasi al limite dell'area dove serve Raul. Il diciassettenne attaccante del Real, al suo primo Clásico, è marcato da Abelardo ma attira anche Ronald Koeman che lascia lo spazio libero per Zamorano che tira di prima intenzione sotto la traversa: 1-0 dopo cinque minuti.
Gli “olè” del pubblico scandiscono i passaggi della squadra di casa che con Luis Enrique si procura anche un rigore non visto dall'arbitro. Una cosa che colpisce immediatamente lo spettatore attuale, educato a dosi massicce di “guardiolismo” e al culto del possesso palla, è la verticalità esasperata del gioco, ancora più sorprendente quando applicato da squadre come Real Madrid e soprattutto Barcellona. Più volte vediamo le due squadre impostare il gioco con lunghi lanci da dietro in direzione delle punte e giocatori dalle indiscusse qualità tecniche come Laudrup, Hagi, lo stesso Guardiola, forzare passaggi verticali che spesso e volentieri finiscono per innescare le ripartenze avversarie. Un gioco dove una manovra scarna è controbilanciata dalle interpretazioni barocche dei singoli. È così che possiamo ammirare in pochi minuti un dribbling di Hagi, che per un istante fa vibrare gli abbacchiati tifosi blaugrana, o una lunghissima discesa palla al piede di Sanchis che oggi non chiederemmo neanche a Messi.
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Luis Enrique e Sergi. |
Al 21', in un momento in cui il Barça aveva ripreso coscienza, arriva tra capo e collo il raddoppio di Zamorano. La difesa blaugrana è perfettamente in linea quando, da sinistra, Amavisca alza un pallone verso il centro dell'area. Peccato che che in quel punto ci sia solo l'attaccante cileno che, a tu per tu con il portiere, non sbaglia.
Avanti di due, gli uomini di Valdano impostano la velocità di crociera lasciando sfogare gli avversari sulla tre quarti. In mezzo a quello che il telecronista definisce «el primero ataque de un cierto criterio» del Barcellona, il Real va per due volte vicino al goal con Raul e Zamorano, entrambi azionati da Michael Laudrup. Il danese, che dopo sei anni passati a Barcellona, in estate era stato sacrificato sull'altare del limite dei tre stranieri schierabili imposto dal regolamento, non aveva digerito le scelte della società che aveva acquistato Hagi e trattenuto l'insofferente Romario. Così, quando da Madrid arriva la chiamata di Valdano e del suo assistente, il maestro Angel Cappa, vera eminenza grigia del progetto tecnico madridista, Laudrup non si fa scrupoli a commettere il peggiore dei tradimenti. Al suo primo Clásico nei panni di traditore, è il padrone assoluto del centrocampo. Il suo ex capitano al Barcellona, José Mari Bakero, gli lascia enormi spazi e i falli di Guardiola gli valgono diversi calci di punizione.
A sei minuti dalla fine del primo tempo Hagi è graziato dall'arbitro dopo un fallaccio a centrocampo su Hierro. Dalla punizione che segue parte un traversone che Zamorano intercetta e allunga verso il centro dell'area dove si sta dirigendo Laudrup. Il danese è in netto ritardo ma la scandalosa protezione di palla di Bakero favorisce il suo ritorno. Conquistato il possesso Laudrup mette in mezzo per Zamorano che firma la sua tripletta personale.
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"Bam Bam" ed "El Ferrari". |
Ormai alle corde, il Barça fatica a trattenere i nervi come dimostra la prepotenza con cui Koeman entra di spalla sullo sterno di Luis Milla, senza che per questo gli venga sventolato in faccia alcun cartellino giallo. Unico attaccante schierato da Cruyff, fino allo scadere nessuno si accorge che in campo c'è anche Stoichkov. Pallone d'Oro da meno di un mese, il capocannonniere di USA 94 non è praticamente mai stato chiamato in causa. Decide così di dare un senso alla sua serata provando a spezzare il ginocchio destro di Quique con un pestone da Tribunale dell'Aia. La nonchalance con la quale tenta di rimettere la palla in gioco come se nulla fosse accaduto non lo salva dal rosso diretto e dai fischi del pubblico. Si sfuma così verso l'intervallo con la polizia costretta a usare gli scudi per proteggere il bulgaro dagli oggetti che cominciano a piovere dalla tribuna
Se in casa blaugrana è il caos, i giocatori del Real raggiungono lo
spogliatoio camminando a un metro da terra talmente è stata ampia la
superiorità mostrata nei primi 45 minuti. Forti di tre goal di vantaggio
e con un tempo a disposizione, Zamorano dirà che fu lì che nella testa di tutti si fece strada l'idea concreta di restituire ai rivali di sempre la manita patita al Camp Nou esattamente un anno prima. La sera del 5-0 che i catalani rifilarono ai blancos,
in quella che rimarrà nella memoria come una delle maggiori
dimostrazioni di forza del Barcellona di Cruyff, Romario segnò tre goal e
Laudrup entrò nel secondo tempo al posto di Stoichkov. 364 giorni dopo
il brasiliano ha già un piede sulla scaletta dell'aereo che lo riporterà
a Rio e subentra a Bakero nel mezzo di una partita già compromessa
mentre Laudrup ha il Bernabeu ai suoi piedi.
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Laudrup scarta anche Romario. |
È proprio il danese ad aprire il secondo tempo con due dribbling che fanno fuori Nadal, entrato al posto di Guardiola, e Koeman, prima che Raul getti tutto al vento cercando inutilmente un contatto in area con Albert Ferrer. È Laudrup che ricorda Modric o è Modric che assomiglia a Laudrup? Nei venti minuti successivi non succede praticamente nulla: il Barça vive delle folate offensive di Sergi, l'unico a salvarsi dei suoi, e degli spunti di Hagi, volenteroso ma decisamente in serata no. Xabi Eskurza, la mossa geniale che avrebbe dovuto sorprendere Valdano, ha toccato sì e no tre palloni. Del gioco posizionale e del controllo del campo tanto predicato da Cruyff non c'è traccia. Romario non va oltre a una punizione conquistata a centrocampo mentre i telecronisti gli leggono il pensiero quando parlano delle spiagge e delle caipirinha che lo aspettano in Brasile. Nel Real Madrid Valdano fa uscire Raul per Martin Vazquez che al 68' aggira Abelardo, penetra in area e serve nel mezzo Zamorano. Il tiro di “Bam Bam” rimbalza sul palo e finisce tra i piedi di Luis Enrique che, non senza libidine, segna alla squadra di cui diventerà capitano e allenatore. Passa un minuto, Zamorano infila Abelardo e Sergi e gira l'assist per Amavisca, solo a porta vuota. Koeman alza il braccio ad invocare un fuorigioco che non c'è mentre il Real completa la revancha. 5-0, un anno dopo. «El Dream Team se ha acabado», sentenzia in telecronaca Tomas Roncero, una specie di Pellegatti madrileno, che constata come sei mesi dopo il 4-0 subito dal Milan di Capello nella finale di Champions League ad Atene, questa serata segni la fine definitiva del ciclo della squadra di Cruyff.
Le pagelle de El Mundo Deportivo. |
A dodici minuti dalla fine Valdano concede la passerella finale a Zamorano. Tre goal, due assist e 100.000 persone in piedi per quello che in estate era il primo sulla lista dei partenti. Non correva buon sangue infatti con Jorge Valdano, sbarcato a Madrid dopo i successi di Tenerife con la ferma volontà di sostituire il cileno con Eric Cantona. Come racconta lo stesso Zamorano a cambiare le cose fu una partitella di allenamento giocata in Svizzera durante il ritiro precampionato. Zamorano tirò una gomitata a Valdano, in campo per sostituire un giocatore infortunato e sentendosi chiedere se si allenasse così solo quando aveva di fronte l'allenatore che odiava, “Bam Bam” rispose seccamente «Io mi alleno sempre così». Da quel momento Valdano ebbe chiaro chi aveva di fronte. Cinque mesi dopo rende omaggio a un attaccante da 17 goal in 16 partite che ha appena scritto una pagina di “madridismo”.
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Le prime pagine di Marca e El Mundo Deportivo. |
«Un juguete», un giocattolo, titola l'indomani El Mundo Deportivo, il principale quotidiano sportivo della Catalogna. Il giocattolo rotto è il Barcellona di Cruyff, quell'orologio di precisione che il genio olandese aveva assemblato nel corso di sei anni di lavoro maniacale imponendo all'Europa un sistema di gioco che divenne modello e che da trent'anni continua ad ispirare la filosofia del club. Riportato al Camp Nou nel 1988 da una dirigenza alla disperata ricerca di qualcuno che arginasse un ammutinamento che aveva dimezzato la rosa, ai microfoni dei giornalisti Johan Cruyff non promette titoli ma spettacolo. Sei anni e una decina di coppe dopo, più che riconoscere i meriti dell'avversario, Cruyff punta il dito contro la sua squadra, colpevole di avere smarrito la motivazione e l'entusiasmo: «ya que así no se puede jugar». A rimarcare come la differenza tra le due squadre sia stata prima di tutto mentale ci pensa Jorge Valdano che identifica nell'«ansia di vendetta sportiva» derivante dall'umiliazione subita l'anno precedente l'origine della determinazione con cui i suoi hanno perseguito il 5-0 anche quando il punteggio avrebbe consentito di rifiatare.
Fu un Clásico non comune, un incontro che segnò la fine del “Dream Team” di Cruyff senza però inaugurare un vero e proprio ciclo del Real Madrid. I blancos vinceranno la Liga, Zamorano finirà la sua migliore stagione in carriera con 28 goal e il titolo di Pichichi ma il sesto posto nel campionato successivo non riuscirà a evitare il licenziamento di Valdano e l'arrivo di Fabio Capello.
Intanto su TMC scorrono i titoli di coda, Zamorano si porta a casa la maglia, Laudrup scherza negli spogliatoi con Angel Cappa al quale confida: «Oggi ho vinto 10-0», ed io mi sveglio sul divano realizzando di avere dormito per quasi tutta la partita.
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